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Sample translations submitted: 2
Italian to English: Edgar Ramirez for L'Officiel Magazine
Source text - Italian Di Fabia Di Drusco
E’ stato il guerrigliero cubano Ciro Redondo Garcia in “Che - L’Argentino” di Soderbergh, è diventato famoso (e ha ricevuto la prima nomination ai Golden Globes) come il terrorista Carlos nell’omonima serie di Olivier Assayas, era nel cast di “Zero Dark Thirty”, è stato Bodhi nell’insopportabile remake di “Point Break”, poi l’ex marito supportivo di Jennifer Lawrence in “Joy” di David O.Russell, e Gianni Versace nella serie “American Crime Story: The Assassination of Gianni Versace”, per cui ha ricevuto una seconda nomination ai Golden Globes. Edgar Ramirez, venezuelano (ma del Venezuela non parla, ha premesso prima dell’intervista la publicist), quarantatre anni, segno zodiacale ariete, da bambino pensava di fare il diplomatico, invece è stato per tre anni giornalista, è Goodwill ambassador dell’Unicef e si è impegnato a favore di Amnesty International come dell’uguaglianza di genere, promuovendo il programma #heforshe
L’Officiel Hommes Italia: Come sei diventato attore?
Edgar Ramirez: Facevo il giornalista, il cinema mi piaceva da sempre ma non sono cresciuto sognando di recitare. All’ultimo anno di università ho partecipato a un film sperimentale di un amico che ha finito per vincere un festival: tra i giurati c’era un professore messicano, l’allora sconosciuto Guillermo Arriaga, che mi propose di partecipare a un film di cui stava scrivendo la sceneggiatura. Io dissi di no per scoprire due anni dopo che il film in questione era “Amores Perros”, la pellicola del 2000 di Alejandro Gonzalez Inarritu che aveva fatto sensazione a Cannes vincendo il gran premio della critica. Praticamente, il film che ha introdotto il cinema latino sulla mappa internazionale.
LOHI: Quali sono stati i ruoli fondamentali della tua carriera?
ER: Ovviamente “Carlos”, nel 2010 si era all’inizio dell’era delle serie televisive di alta qualità che ti consentono esplorare un personaggio in modo più compiuto di quello che ti permette la breve durata di un film. Poi “Hands of Stone”, dove sono dovuto diventare un pugile (la leggenda Robert Duran, nda): il mio corpo è cambiato, e mi sono trasferito a Panama. E per me che sono al tempo stesso molto emozionale e molto razionale, interpretare un uomo totalmente dominato dalle sue emozioni è stato molto challenging. Ed è stato interessante esplorare un disruptor come Gianni Versace nell’intreccio dei suoi rapporti familiari, soprattutto nel rapporto con la sorella, fatto di lealtà, amore, devozione. Ho scoperto Gianni negli occhi di Donatella, e di Penelope Cruz che la interpretava. E sono molto legato anche ad un film che ho girato con Juliette Binoche, “A coeur ouvert” di Marion Lane, storia di una coppia sposata dove lui -io- è alcolizzato: un rapporto di codipendenza che esplora la natura dell’amore.
LOHI: Come scegli un film?
ER: Il regista è fondamentale: se non ha un punto di vista molto preciso, molto forte, il film non funziona. Perchè l’arte di raccontare una storia deriva da un’urgenza emozionale che devi risolvere razionalmente. Poi certo, importante è anche la storia, anche se a volte scelgo semplicemente di divertirmi con film d’azione
LOHI: Con quali registi hai lavorato meglio? E con chi sogneresti di lavorare?
ER: Con Assayas c’è un rapporto molto speciale, una vera e propria telepatia. Mi piacerebbe lavorare con Paolo Sorrentino, con David Fincher, Wong Kar Wai, il regista messicano Michel Franco che ha appena vinto il Leone d’Argento a Venezia con “Nuevo orden”, Alfonso Cuaron.. Tanti, tanti altri.
LOHI: Mai pensato di fare il regista?
ER: Potrebbe succedere che diventi regista, ma non mi alzo la mattina sentendomi male perché non lo sono. Ho invece iniziato a fare il produttore perché è una direzione naturale per un attore
LOHI: Hai un metodo per calarti in un personaggio?
ER: Recitare è empatia e anche una forma di meta-giornalismo, prepararsi a un ruolo è come svolgere un’indagine su qualcuno. E poi c’è la preparazione fisica: costruire il corpo del personaggio ti permette di trascendere i tuoi limiti personali.
LOHI: Che film hai in uscita?
ER: A fine ottobre Inizia la programmazione di “The undoing”, serie HBO (scritta da David E. Kelley, l’autore di “Big Little Lies”, nda) per la regia di Susanne Bier, con Nicole Kidman e Hugh Grant, dove io interpreto un detective. E’ la storia di una caduta individuale, un dramma per adulti come i grandi thriller degli anni 80 e 90 con una carica erotica molto forte, in maniera atipica per un progetto americano. Il punto centrale sono le contraddizioni umane, tutti i personaggi sono contradditori, è l’investigazione di un tradimento che dimostra il potere della manipolazione, della gelosia, decisamente non confortevole. L’anno prossimo usciranno “355”, una spy story con Jessica Chastain (e Bing Bing Fan, Diane Kruger, Lupita Nyong’o e Penelope Cruz, nda), la commedia “Yes day” con Jennifer Garner, “Jungle Cruise” della Disney con Emily Blunt e Dwayne “The Rock” Johnson. E girerò “Losing Clementine” con Jessica Chastain, diretto dall’argentina Lucia Puenzo. Jessica interpreta un personaggio bipolare deciso a suicidarsi ma che vuole prima sistemare alcune cose, tra cui il rapporto con l’ex marito, che sono io..
LOHI: Sei particolarmente impegnato sull’uguaglianza di genere…
ER: La campagna #heforshe è nata per combattere gli stereotipi di genere: non è solo a favore delle donne, gli uomini imbevuti di un paradigma culturale che celebra una mascolinità tossica e scaricano la loro violenza sulle donne perdono anche loro. Il discorso che ho tenuto in proposito 4 anni fa alle Nazioni Unite è il momento della mia vita di cui sono più orgoglioso.
LOHI: Cosa fai quando non lavori?
ER: Leggo, mi alleno, cerco di meditare: non ho una vita straordinaria, ma un lavoro straordinario. Mi piace bere un caffè con gli amici, credo che la conversazione sia una forma d’arte. Quando arrivo in una città che non conosco invece di fare il turista mi faccio consigliare su dove fermarmi a bere un caffè, e posso passare ore seduto a leggere o osservare la gente. Sono drogato di caffè, in Venezuela la comunità italiana è così forte che c’è una macchina espresso Gaia anche nel più piccolo baretto del più sperduto paesino.
LOHI: Ti interessa la moda?
ER: Mi piace la moda perché mi piace la storia, e la moda è espressione del tempo. Tra 50 anni basterà osservare i nostri vestiti per rendersi conto di come era la nostra società. Non credo che la moda sia un fenomeno superficiale, piuttosto è una forma di antropologia
Translation - English Edgar Ramirez Interview:
By Fabia Di Drusco
He played the role as Cuban guerrilla Ciro Redondo Garcia in "Che - The Argentine "by Soderbergh and was brought to stardom (receiving his first Golden Globes nomination) by playing the terrorist Carlos in the homonymous series by Olivier Assayas. Ramirez was also part of the cast of" Zero Dark Thirty “and played Bodhi in the unbearable remake of "Point Break". He later played alongside Jennifer Lawrence's as the supportive ex-husband in David O. Russell's "Joy", and Gianni Versace in the series "American Crime Story: The Assassination of Gianni Versace", for which he received his second nomination for a Golden Globe.
Edgar Ramirez, Venezuelan (but he does not speak of Venezuela, the publicist said before the interview), forty-three years old and Aries as his zodiac sign. As a child he wanted to become a diplomat but instead worked as a journalist for three years. He is a Goodwill ambassador for UNICEF and committed to Amnesty International as well as to gender equality, promoting the #heforshe program.
L’Officiel Hommes Italia: How did you become an actor?
Edgar Ramirez: I was a journalist, I've always liked cinema, but I didn't grow up dreaming of acting. During the last year of university, I participated in an experimental film by a friend who ended up winning a festival. Among the jurors there was a Mexican professor, the then unknown Guillermo Arriaga, who asked me to play a part in a film of a script he was writing. I said no to find out two years later that the film in question was “Amores Perros”, the 2000 film by Alejandro Gonzalez Inarritu that was a sensation at Cannes winning the Grand Prix of critics. Basically, the film that introduced Latin cinema internationally.
LOHI: What have been the key roles in your career?
ER: Obviously "Carlos", 2010 was the beginning of the era of high-quality television series that allow you to explore characters more deeply than a film. Then “Hands of Stone”, where I had to become a boxer (the legend Robert Duran, Ed.). My body changed, and I moved to Panama. I am very emotional and very rational at the same time so, playing a man totally dominated by his emotions was very challenging. It was also very interesting to explore a disruptor like Gianni Versace in the intertwining of his family relationships, especially the relationship with his sister, built on loyalty, love, and devotion. I discovered Gianni through the eyes of Donatella, and Penelope Cruz who played her. I am also very attached to a film I shot with Juliette Binoche, "A coeur ouvert" by Marion Lane. It is the story of a married couple where he - me - is an alcoholic and their relationship of codependency that explores the nature of love.
LOHI: How do you choose a movie?
ER: The director is fundamental; if he doesn't have a very precise, and a very strong point of view, the film doesn't work. The art of telling a story derives from an emotional urgency that you have to rationally solve. Then of course, the story is also important, even if sometimes I simply choose to have fun with action movies.
LOHI: Which directors have you worked best with? And who do you dream of working with?
ER: With Assayas there is a very special relationship, a real telepathy. I would like to work with Paolo Sorrentino, with David Fincher, Wong Kar Wai, the Mexican director Michel Franco who has just won the Silver Lion in Venice with "Nuevo Orden", Alfonso Cuaron ... Many, many others.
LOHI: Have you ever thought of being a director?
ER: It could happen that I become a director, but I don't get up in the morning feeling bad because I'm not. Instead, I started producing because it is a natural direction for an actor.
LOHI: Do you have a method that allows you to immerse yourself into character?
ER: Acting is empathy and also a form of meta-journalism. Preparing for a role is like investigating someone. Then, there is the physical preparation: building the character's body allows you to transcend your personal limits.
LOHI: What movies do you have coming out?
ER: At the end of October the HBO series "The undoing" (written by David E. Kelley, the author of "Big Little Lies", Ed.) directed by Susanne Bier, with Nicole Kidman and Hugh Grant, where I play a detective. It is the story of an individual’s breakdown, an adult drama like the great thrillers of the 80s and 90s with a very strong erotic charge. An unusual approach for an American project. The central point is the human contradictions, all the characters are contradictory. It is the investigation of a betrayal that demonstrates the power of manipulation and jealousy, which is definitely uncomfortable. Next year "355" will be released. It is a spy story with Jessica Chastain (and Bing Bing Fan, Diane Kruger, Lupita Nyong'o and Penelope Cruz, Ed). I also have a comedy "Yes day" with Jennifer Garner, and Disney’s "Jungle Cruise" with Emily Blunt and Dwayne “The Rock” Johnson. Lastly, I will be shooting "Losing Clementine" with Jessica Chastain, directed by the Argentine Lucia Puenzo. Jessica plays a bipolar character who is determined to commit suicide but who wants to fix some things first, including the relationship with her ex-husband, who is me ..
LOHI: You are particularly committed to gender equality ...
ER: The #heforshe campaign was born to combat gender stereotypes. It is not only for supporting women, but also for men who follow a cultural paradigm that celebrates toxic masculinity by unleashing their violence on women, losing them to. The speech I gave on this topic 4 years ago at the United Nations is the proudest moment of my life.
LOHI: What do you do when you're not working?
ER: I read, I work out, I try to meditate. I don't have an extraordinary life, but an extraordinary job. I like having coffee with friends. I believe that conversation is a form of art. When I arrive in a city I don't know, instead of being a tourist, I ask advice on where to stop for a coffee. I can spend hours sitting and reading, or people watching. I am a coffee addict. The Italian community in Venezuela is so strong that there is a Gaia espresso machine even in the smallest bar in the most secluded village.
LOHI: Are you interested in fashion?
ER: I like fashion because I like history, and fashion is an expression of time. In 50 years, it will be enough to look at our clothes to realize how our society was. I don't think fashion is a superficial phenomenon, rather it is a form of anthropology.
Italian to English: Woodkid Interview for L'Officiel Magazine
Source text - Italian MensWoodkid.txt
Hed: Siamo tutti anime fragili
Dek: Esce il suo nuovo album, S16, una riflessione sul potere di chi sa ammettere le debolezze e chiedere aiuto. Ma l’eclettico artista francese Yoann Lemoine è anche pronto a partire in tour, con i costumi di scena disegnati da Nicolas Ghesquière
Byline: di Cristina Manfredi Photographer:
Cantante, musicista, scrittore, visual artist e regista. Si definisce così Yoann Lemoine e basta guardare la varietà e il livello dei suoi lavori per dar ragione a questo 37enne francese, schivo di carattere, straordinario nelle idee. La sua laurea in animazione lo porta a collaborare con Sofia Coppola e Luc Besson, poi inizia a creare campagne pubblicitarie con cui vince una pioggia di premi e a firmare videoclip per mega star tra cui Moby, Katy Perry, Taylor Swift, Lana Del Rey, Harry Styles, finché nel 2011, dà un’ulteriore svolta alla sua carriera. Si sceglie Woodkid come nome, entra in sala di registrazione e incide pezzi come Iron, Run Boy Run, Goliath, architetture sonore complesse, appoggiate a ritmiche quasi tribali su cui dispiega la sua voce morbida, per trasportare il pubblico in un mondo malinconico, pur conservando uno spiraglio di speranza. Il tutto supportato da video poderosi, dolenti, raffinatissimi. Di lui anche il mondo della moda si innamora, tanto che il direttore creativo di Louis Vuitton, Nicolas Ghesquière, gli affida prima un video di campagna, seguito, a più riprese, dal concept delle colonne sonore delle sfilate della griffe. E disegna per lui tutti i costumi di scena per il nuovo tour che accompagna l’uscita del secondo album, S16, registrato tra Londra, Berlino, Parigi, Los Angeles, Tokyo e l’Islanda, in uscita proprio in questi giorni.
Nelle tracce del nuovo disco si avverte un intreccio di angoscia e speranza, la descrizione di sentimenti cupi, illuminati dalla consapevolezza che, forse, non tutto è perduto. È uno scenario incredibilmente affine a quanto stiamo vivendo a causa della pandemia, ma tu quando hai iniziato a lavorarci sopra?
«Era il gennaio del 2016 e, attraverso la musica, volevo esprimere l’amore per la mia città (Lemoine è nato a Lione, per poi trasferirsi a Parigi, ndr) da cui ho imparato molto, anche se ho sperimentato tanta follia, difficoltà, lo sconvolgimento e al tempo stesso la fascinazione per ciò che di crudo abbiamo vissuto negli ultimi anni, insomma, provavo sentimenti contrastanti. Quando è esplosa l’emergenza covid mi sono domandato se fosse o meno il caso di promuovere un disco così simile a questo particolare momento storico. Chissà se la gente vorrà ascoltarlo, mi sono chiesto, riflettendo più in generale sul ruolo della musica.
Credo sia ingeneroso nei confronti del pubblico stabilire una funzione precisa di ciò che
compongo, perciò mi sono detto: lasciamo che sia la gente a decidere cosa attribuire alla mia musica, anziché fingere di saperlo io a priori».
S16 è in fisica il simbolo dello zolfo che tu hai scelto come titolo dell’album per suggerire un’indagine sulla materia in sé, su cosa compone le nostre cellule e i nostri cuori. Sei giunto a una qualche risposta?
«Ho sempre avuto più domande che risposte. Prendiamo ad esempio temi come i cambiamenti climatici o il capitalismo a cui io reagisco sempre in modo non binario, come
del resto mi accade riguardo alla mia identità di genere, alla mia consapevolezza, alla mia relazione con il potere, il mio è un meccanismo di attrazione e repulsione».
Ma se dovessi sintetizzare il messaggio del nuovo disco, come lo definiresti?
«Nell’album parlo del potere che scaturisce dal saper chiedere aiuto. Credo che le persone debbano imparare ad ammettere le proprie fragilità, specialmente quando sono vittime di depressione o dipendenze. Il riconoscere una debolezza è un passo meraviglioso, che precede la richiesta di aiuto vera e propria. Spesso diamo di noi l’immagine di chi ha tutto sotto controllo, ma la verità è che ci sono situazioni in cui puoi controllare poco o niente. A volte ci si perde e allora bisogna chiedere una mano ed essere pronti a stringerla».
Nel tuo lavoro è fortissima la connessione tra suono e immagine, che stimoli ti danno questi due aspetti messi insieme?
«Sotto il profilo artistico mi consentono di espandere le mie potenzialità su più fronti, mentre a livello personale mi aiutano a prendere la giusta distanza dalle cose. Se sono sul palco come musicista, oppure dirigo il video di qualcun altro, dimentico tutto, poi stacco e riesco a lasciare andare le cose. Cerco di non dare troppa importanza a ciò che faccio, a considerare che nel mondo ci sono aspetti ben più significativi di un mio disco. Non voglio essere aggressivo nei confronti miei o delle persone che mi ascoltano, in fondo è solo musica.
Certo può diventare una forma di consapevolezza sociale e aiutare il mondo a creare una migliore connessione. Non lo stravolge, ma può dare un piccolo contributo. Quando vedi le cose da questa prospettiva, tutto cambia».
E dalla collaborazione con un personaggio chiave della moda come Nicolas Ghesquière che cosa ti rimane addosso?
«Il rispetto che lui e tutto il team di Louis Vuitton dimostrano nei confronti del mio lavoro. Ci siamo conosciuti quando mi ha commissionato la campagna video con relativa musica per l’Autunno/Inverno 2017/18 e ci siamo trovati benissimo. Da lì mi ha chiesto più volte di curare il soundtrack delle sfilate, sempre fidandosi della mia visione. È un processo molto creativo, in cui io imparo tanto».
Non ti senti mai sopraffatto da tutti fronti che tieni aperti?
«È da almeno sette anni che sono sempre al limite, del resto è normale per uno come me che ci mette la faccia, che vuole fare le cose da sé. Creare è la mia passione più grande, è una storia d’amore, non una costrizione. Il giorno in cui dovessi fare musica perché devo, cambierei subito il mio approccio. Oggi tutto quello che produco nasce da una passione assoluta, perciò buon per me se mi sono travolto dalle cose».
Quali sono i tuoi valori come artista?
«Credo nelle emozioni e nel talento, inteso come predisposizione individuale che alcuni hanno e altri no. Quella è la base, ma poi ci devono essere l’impegno e la curiosità. Devi lavorare duro, imparare a usare nuovi strumenti e modi diversi di fare le cose. E devi essere molto critico sulla qualità dei risultati. Per un artista è normale apprezzare il proprio lavoro meno del pubblico, è parte del gioco, significa che stai continuando ad andare avanti».
E allora cosa ti dà soddisfazione?
«Riuscire a completare un progetto, avere un’idea e vederla concretizzata. Ci lavori sopra, cerchi il partner giusto con cui metterla in piedi, trovi i soldi necessari e alla fine prende corpo: questo mi dà gusto, perché è un processo sempre più complicato nell’ambiente musicale, soprattutto quando ti confronti con le grandi case discografiche. È dura riuscire a fare qualcosa che sia davvero out of the box».
C’è qualcosa di nuovo con cui ti vorresti mettere alla prova?
«Ho appena girato un video dove per la prima volta recito. Voglio esplorare cosa si prova a impersonare le storie e le emozioni degli altri».
Translation - English Hed: We Are All Fragile Souls
Dek: The release of his new album, S16, reflects on the power of those who can admit their weaknesses and ask for help. The eclectic French artist Yoann Lemoine is ready to go on tour with stage costumes designed by Nicolas Ghesquière.
Byline: di Cristina Manfredi
Photographer:
Singer, musician, writer, visual artist and director. This is how Yoann Lemoine defines himself, and it is enough to look at the variety and level of his work to agree with the 37-year-old French with a reserved character and extraordinary ideas. His degree in animation led him to collaborate with Sofia Coppola and Luc Besson, and later to create advertising campaigns that won multiple awards. He also filmed video clips for megastars like Moby, Katy Perry, Taylor Swift, Lana Del Rey, Harry Styles.
In 2011 he gave a further twist to his career. He chose Woodkid as his art name and entered the recording room and created pieces such as Iron, Run Boy Run, Goliath. His compositions are complex sounds supported by almost tribal rhythms where he unfolds his soft voice transporting the audience into a melancholic world, while maintaining a glimmer of hope. His creations are also supported by powerful, painful, and highly refined videos.
The world of fashion also fell in love with him, so much that the creative director of Louis Vuitton, Nicolas Ghesquière, entrusted him with a video campaign and, on other several occasions, with the soundtracks of the brand's fashion shows. Ghesquière designed all the stage costumes for the new tour and release of Lemoine’s second album, S16, recorded in London, Berlin, Paris, Los Angeles, Tokyo, and Iceland, which will be released in the upcoming days.
L’Officiel: In the tracks of the new album you can feel an intertwining of anguish and hope, the description of dark feelings, illuminated by the awareness that, perhaps, all is not lost. It is an incredibly similar scenario to what we are experiencing due to the pandemic, but when did you start working on it?
Yoann Lemoine: It was January 2016 and, through music, I wanted to express my love for my city (Ed, Lemoine was born in Lyon, then moved to Paris) where I learned a lot, even if I experienced so much madness, difficulty , upheaval and, at the same time, a fascination for the harshness we have experienced in the last few years. In short, I had mixed feelings.
When the Covid emergency exploded, I wondered whether or not it was appropriate to promote a record so similar to this particular historical moment. I asked myself if people would want to hear it, while I was generally reflecting on the role of music. I think it is unfair towards the public to establish a precise function of what I compose, so I said to myself I will let people decide how to interpret my music instead of pretending that I know.
L’O: “S16” in physics is the symbol of sulfur, which you have chosen as the title of the album to suggest an investigation into the matter itself, into what makes up our cells and our hearts. Have you come up with any answers?
YL: I've always had more questions than answers. Take for example issues like climate change or capitalism where I always react in a non-binary way, like after all, it happens to me regarding my identity with genre, my awareness, and my relationship with power. Mine is a mechanism of attraction and repulsion.
L’O: If you had to summarize the message of your new album, how would you define it?
YL: In the album, I talk about the power that comes from knowing how to ask for help. I believe that people need to learn how to admit their weaknesses, especially when they are victims of depression or addictions. Recognizing a weakness is a wonderful step that precedes the actual call for help. We often give the impression of someone who has everything under control, but the truth is that there are situations in which you can control little or nothing. Sometimes we get lost, and you have to ask for a hand and be ready to take it.
L’O: In your work the connection between sound and image is very strong. What stimuli do you receive when these two aspects are put together?
YL: From an artistic point of view, they allow me to expand my potential on several fronts, while on a personal level they help me take the right distance from things. If I'm on stage as a musician, or directing someone else's video, I forget everything and disconnect so I can let things go. I try not to give too much importance to what I do, considering that there are more significant things in the world than one of my records. I don't want to be aggressive towards myself or the people who listen to me, after all, it's just music.
Of course, it can become a form of social awareness and help the world make better connections. It’s not overpowering, but it can make a small contribution. When you see things from this perspective, everything changes.
L’O: From the collaboration with a key figure in fashion like Nicolas Ghesquière, what impacted you the most?
YL: The respect he and the entire Louis Vuitton team show for my work. We met when he commissioned me for the music of the video campaign for Fall/Winter 2017/18, and we had a great time. From there on, he asked me several times to curate the soundtrack of the fashion shows, always trusting my vision. It's a very creative process where I learn a lot.
L’O: Don't you ever feel overwhelmed by all the fields you’re involved in?
YL: I've been over the edge for at least seven years, and after all, it is normal for someone like me who wants to put a face to a name and wants to do things himself. Creating is my greatest passion. It is a love story, not a constraint. So, if one day I had to make music just because, I would immediately change my approach. Today everything I create comes from an absolute passion, so good for me if I'm overwhelmed by things.
L’O: What are your values as an artist?
YL: I believe in emotions and talent, intended as an individual predisposition that some have, and others don't. That is the basis, but then there must be commitment and curiosity. You have to work hard, learn new tools, and different ways of doing things. You have to be very critical about the quality of the results. It is normal for an artist to appreciate his work less than the public. It is part of the game and means that you are continuing to move forward.
L’O: So, what gives you satisfaction?
YL: Being able to complete a project, have an idea, and see it materialized. You work on it, you look for the right partner to set it up with, you find the necessary funds and in the end it all takes form. This is what gives me satisfaction because it is an increasingly complicated process in the music industry, especially when you are confronted with the big record companies. It's hard to be able to do something that is truly out of the box.
L’O: Is there something new that you would like to test yourself with?
YL: I just shot a video where I'm acting for the first time. I want to explore what it's like to impersonate the stories and emotions of others.
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