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Italian to Spanish: Japón Diccionarios de las Civilizaciones General field: Art/Literary Detailed field: Art, Arts & Crafts, Painting
Source text - Italian Come communicare al lettore occidentale una civiltà come quella giapponese, che, pur continuando ad affascinare e a ispirare le menti più creative e curiose per le caratteristiche attribuitegli di semplicità e austerità, ma anche all'opposto di esotismo ed eccentricità, risulta in realtà ancora così lontana e confusamente conosciuta?
Nelle numerose schede che formano questo dizionario si è tentato di darne una visione, seppur frammentata, cronologicamente ordinata all'interno dei singoli capitoli.
Della cultura giapponese si sono evidenziate le figure, i momenti storici, le opere d'arte, la produzione letteraria, gli ambiti religiosi, gli aspetti della vita e della tradizione più determinanti.
A volte in modo indiretto, attraverso la vita di pittori, letterati, monaci o figure legendarie, come nel capitolo dedicato ai personaggi, si arriva a toccare temi quali la mitologia, le origini della dinastia imperiale, la nascita delle tante scuole di pensiero oeculiarmente giapponesi pur nell'ambito dell'ecimenica filosofia buddhista.
Di supporto, una ricca selezione di capolavori della pittura, della scultura, delle arti applicate, spesso designati come "tesori nazionali" o "proprietà culturali e artistiche importanti", accompagna, illustra, descrive o richiama le tematiche discusse.
In questo senso è utile sottolineare che le opere selezionate per illustrare un dato tema non sono necessariamente coeve a questo.
Esistono fatti storici o personaggi della tradizione che continuarono a essere, e ancora oggi sono, soggetto di pitture e componimenti poetici o teatrali.
Essi esprimono uno sguardo nuovo sul passato, una nuova trattazione dei temi della tradizione, ma anche una continuità tra tradizione e presente, una delle peculiarità della cultura giapponese che si è voluto evidenziare.
Pur mantenendo la struttura delle altre opere della collana, in questo volume sono state apportate alcune modifiche per fornire una lettura più semplice e rispondente alla realtà di alcuni aspetti della civiltà giapponese.
Tra i personaggi, per esempio, non sono state trattate le personalità del mondo politico ed economico, principi, imperatori, guerrieri e capi militari.
Esse sono invece inserite nel capitolo dedicato a Potere e vita pubblica, per una maggior completezza della visione storica e dei cambiamenti al potere.
È stato omessi il capitolo dedicato ai monumenti, presente invece in altri volumi, considerando che gli edifici e i luoghi più celebri del Paese sono perlopiù edifici sacri, templi buddhisti e santuari shintoisti, che si è preferito inserire nel capitolo Religione, o edifici privati delle classi al potere, come ville nobiliari e castelli, in questo caso inseriti nel contesto di Potere e vita pubblica.
Translation - Spanish A pesar de fascinar e inspirar a las mentes más creativas y curiosas por su simplicidad y austeridad, la civilización japonesa sigue resultando lejana y desconocida por su exotismo y excentricidad. ¿Cómo acercarla pues al lector occidental?
En las numerosas fichas que forman este diccionario se ha intentado dar una visión, si bien discontinua, cronológicamente ordenada dentro de cada uno de los capítulos. Destacan las figuras de la cultura japonesa, los momentos históricos, las obras de arte, la producción literaria y los aspectos más determinantes de la religión, la vida y la tradición.
En ocasiones se tocan temas como la mitología, los orígenes de la dinastía imperial o el nacimiento de las muchas escuelas de pensamiento que, aun siendo propiamente japonesas, se enmarcan en el ámbito de la ecuménica filosofía budista. Esto se hace indirectamente través de la vida de los pintores, literatos, monjes o figuras legendarias -como en el capítulo dedicado a los personajes. Como material de soporte, se ofrece una rica selección de las obras maestras de la pintura, la escultura y las artes aplicadas que han sido a menudo calificadas como “tesoros nacionales” o “propiedades culturales y artísticas importantes”. Ésta selección acompaña y se refiere a los temas que se tratan, ilustrándolos o describiéndolos. Existen hechos históricos o personajes de la tradición que hoy en día siguen siendo motivos de pinturas y composiciones poéticas o teatrales; por este motivo es útil subrayar que las obras seleccionadas para ilustrar un determinado tema no siempre son contemporáneas a éste. Una de las peculiaridades de la cultura japonesa que se ha querido resaltar es precisamente el hecho de que, aun suponiendo estos motivos una mirada nueva sobre el pasado y un tratamiento novedoso de los temas de la tradición, se mantiene una continuidad entre ésta y el presente.
Aunque conserva la estructura de las otras obras de la colección, este volumen aporta algunas modificaciones para simplificar la lectura y acercarla a la realidad de algunos aspectos de la civilización japonesa.
Por ejemplo, no se tratan las personalidades del mundo político y económico, príncipes, emperadores, guerreros y jefes militares entre los personajes, sino que aparecen en el capítulo dedicado a Poder y vida pública. De este modo se pretende dar una visión más completa de la historia y los cambios en el poder.
Ha sido eliminado el capítulo dedicado a los monumentos, que figura en otros volúmenes. Considerando que, en su mayoría, los edificios y lugares más célebres del país son, o bien edificios sacros, templos budistas y santuarios sintoístas, o bien edificios privados de las clases de poder, como villas nobiliarias y castillos, los primeros han sido incluidos en el capítulo Religión y los segundos en Poder y vida pública.
Italian to Spanish: Come in un sogno lucido General field: Art/Literary Detailed field: Architecture
Source text - Italian Scancellare i sensi, rimuovere i propri limiti fisici, uscire dal corpo: espressioni che sembrano cogliere più le istanze di un percorso iniziatico, l’incipit ad una via mistica alla conoscenza, in cui la pura trascendenza diventi – in un apparente ossimoro - dominio del quotidiano, piuttosto che indicare le coordinate con le quali esperire e interpretare lo spazio di alcuni artefatti contemporanei. La fruizione artistica, così come la genesi delle opere sulla cui analisi essa si basa, sembra oggi aver rimosso l’ingombrante astanza degli oggetti sterzando, in alcuni casi, verso forme che da essa paiono prescindere, non producendo immagini (nell’accezione convenzionale del termine), né richiedendo che qualcosa venga focalizzato dal nostro sguardo. Appare evidente come l’elemento centrale della Novecentesca civiltà delle immagini – ovvero il domino del visivo – si stia radicalmente trasformando, invitando il fruitore ad una espansione sensoriale che dilati l’esperienza fruitiva, ma che al contempo introduca ad un nuovo tipo di opacità, di cecità indotta, sia pure temporanea. E’ infatti evidente che essa richieda l’azzeramento delle tradizionali procedure di interpretazione e godimento delle opere, producendo un iniziale stato di paralisi dei nostri organi visivi ma, al contempo, scatenando una conseguente espansione (o trasformazione) degli altri sensi, denigrati o vilipesi dal precedente dominio conoscitivo. Questo tipo di denigrazione, le cui origini vanno rintracciate nel platonico disprezzo del percetto sensoriale1, storicamente inizia ad essere controbattuto da Cartesio in poi, quando con lo sviluppo dell’interpretazione scientifica della natura “… progressivamente si accentua il ruolo della percezione sensoriale, rendendo così possibile il sensismo nella sua forma più radicale. Il tentativo kantiano di fondare in sede gnoseologica una posizione mediana tra due estremi, in virtù di un equilibrio tra ‘elemento creativo’ ed ‘elemento passivo’ nel processo conoscitivo, pare aver perso forza di persuasione, considerando anche il crescente influsso delle scienze della natura rispetto al neopositivismo logico.”2 La situazione percettivo-gnoseologica in cui questo nuovo modo di intendere lo spazio ci proietta appare talvolta, come si diceva, più legata a pratiche di meditazione o a stati alterati di coscienza, ma sempre richiedendo un sub-strato vigile al fruitore: l’artista ci accompagna fino alla soglia di una spazio liminale nel quale ci invita ad entrare, lasciando che in noi si compia l’esperienza del luogo, l’epifania della sinestetica percezione di luci, suoni, materie e, talvolta, odori e sapori. L’iniziale stordimento palesa spesso come l’artista cerchi di comunicare alla parte limbica, associativa del nostro cervello, lasciando per alcuni istanti che invece quella pre-frontale, logica sia relegata sullo sfondo. Una sorta di risveglio della parte più archetipica, animale del nostro sistema percettivo, capace di cogliere sollecitazioni sottili, oggi disperse nella polluzione endemica che domina il mondo contemporaneo. Tuttavia, l’attenzione, sia pure soffusa e straniata, è sempre richiesta perché l’esperienza estetica (?) sia piena e soprattutto raccontabile, forse con un nuovo vocabolario, fatto più di allusioni, metafore e simboli che di circostanziate registrazioni di ciò che è accaduto in istallazioni di questo tipo. In tal senso, le strategie fruitive in campo sembrano assimilabili a quelle dei cosiddetti sogni lucidi, nei quali l’onironauta - di cui Fëdor Michajlovič Dostoevskij già ci fornisce, in tempi non sospetti, una descrizione3-, è consapevole di stare sognando, al punto da essere in grado di orientare il proprio percorso all’interno del sogno, intervenendo addirittura nella sua sceneggiatura psichica. Le due dimensioni, quella della veglia e quella del sogno, appaiono nella cultura occidentale inconciliabili laddove la presenza dell’una esclude l’esistenza dell’altra: secondo alcuni ricercatori, il sogno consapevole – o lucid dream, nella definizione datane dal suo maggiore studioso, l’olandese Frederik Willems van Eeden (Haarlem 1860 – Bussum 1932), poi ripresa dallo statunitense Stephen La Berge4 - è il luogo dove queste esperienze, apparentemente irriducibili l’una all’altra, trovano un terreno comune, addirittura raggiungibile con tecniche induttive, sperimentate in laboratorio, che mostrano suggestive vicinanze con pratiche molto più antiche, appartenenti ad ambiti sapienziali come lo yoga tibetano del sonno5.
Il sognatore, durante un sogno lucido,è in grado di elicitare, in sede elettroencefalografica, il tracciato di una fase REM (Rapide Eyes Movements) del sonno, segnalando all'osservatore esterno, attraverso i propri movimenti oculari volontari, che è in uno stato di sogno vigile. Essere nel dominio onirico eppure essere capaci, nel medesimo tempo, di comunicare con il mondo esterno: l’elemento che si pone alla nostra attenzione è dunque quello della consapevolezza dell’esperienza, il fatto cioè che sia sempre possibile dire, per l’onironauta, dove si trovi e cosa gli stia succedendo. Il sogno lucido, in questa accezione, è solo l’epifenomeno del raggiungimento di una piena consapevolezza interiore del possesso istantaneo di due entità corporee, una fisica – radicata nel mondo ecologico dei fenomeni misurabili quantitativamente –, ma silente e passiva, e l’altra, onirica, dislocata in piena attività nel mondo virtuale. Se le coordinate temporali in tale ambito esperienziale paiano non saltare totalmente, mantenendosi una certa proporzionalità fra il crono-vissuto del sogno e quello della veglia, invece quelle spaziali collassano grazie allo scioglimento dei legami con le leggi della fisica che ancorano il corpo percepente alla gravità e all’hic et nunc ambientale. Gli scenari ora mutano rapidamente e il senso di orientamento si scardina, lasciando spazio alla modalità del volo o dello spostamento istantaneo, non tanto del soggetto percepente, quanto dell’intero scenario che si para davanti al suo sguardo, quasi si stesse srotolando un makemono nipponico. Il senso di individualità appare nitido, esatto, l’autoconsapevolezza è totale ma diversa da quella diurna, essendo caratterizzata da una maggiore acuità in cui si attiva o una percezione sinestetica, collaborativa dei sensi, anche se virtuali, o la riduzione di tutti i sensi ad un unicuum. Un modello sensorio cui sembra alludere il filosofo Walter Benjamin in un suo testo del 1915, intitolato L’arcobaleno, riferendosi alla vista onirica: un modo di vedere tanto intenso da far sì che gli altri sensi scompaiano, così come l’autoconsapevolezza del sé. Il filosofo ne riferisce nel dialogo tra i due protagonisti, Georg e Margarethe, allorché quest’ultima racconta di una sua particolare esperienza onirica nei seguenti termini: “E così era il sogno. Non ero altro che occhi. Tutti gli altri sensi erano dimenticati, scomparsi. Io stessa non c’ero più, né la mia mente, che mi rivela le cose dalle immagini sensibili. Non ero una che guardava, ero solo sguardo. E quello che vedevo non erano cose, Georg, erano solo colori. E io stessa ero colore in questo paesaggio.”6 Non dissimili paiono gli effetti esperibili, come vedremo più avanti, in alcun installazioni dell’artista californiano James Turrell il quale esplicitamente riferisce di “volere utilizzare la luce che vediamo nei sogni e quegli spazi che sembrano provenire da quei sogni e che sono familiari a coloro che abitano quei luoghi.”7 Simili istallazioni sono molto complesse da realizzare nei musei, sia perché implicano un lungo tempo di adattamento sensoriale da parte del visitatore – che varia dai venti ai trenta minuti e, in alcuni casi, addirittura a un’ora –, ma anche perché gran parte dei fruitori non sono adeguatamente preparati, dal punto di vista psicologico, a sottoporsi a questo tipo di esperienza straniante, del tutto simile appunto a quella prodotta nei sogni lucidi. Questi ultimi, durante il sonno, possono essere indotti sia da processi spontanei – in special modo, sotto l’effetto di emozioni molto intense -, che da tecniche specifiche e infine anche su sollecitazioni esterne (per lo più stimoli luminosi, acustici o aptici) che favoriscono lo sviluppo della lucidità e i correlati psicofisiologici. Il senso di realtà che emerge da queste esperienze, come si diceva, è più intenso al punto che è lo stato ordinario di coscienza ad apparire illusorio, percezione in parte attribuibile allo stato di disidentificazione che il sognatore lucido vive rispetto ai contenuti dei suoi sogni, orami espanso a pura consapevolezza contemplante le immagini e le sequenze oniriche che si proiettano nella sua mente. Sovente anche il linguaggio ordinario cessa di avere efficacia nel descrivere quello che si è visto in sogno, tali e sconosciute sono state le sensazioni provate, estranee agli usuali canali sensoriali, ideativi e mnestici. L’esperienza è dunque irriducibile al linguaggio descrittivo che passa attraverso i comuni sensi, o meglio si basa su un livello comunicativo in cui essi deflagrano, si dilatano allo spasimo, divenendo massimamente ricettivi a tutte le sollecitazioni provenienti da un mondo sia pur onirico, ma pur sempre un mondo. Come nel Buddhismo Mahayana in cui l’esperienza del vuoto, raggiungibile attraverso il percorso retto additato dall’ottuplice sentiero, passa attraverso i sensi ma da essi si emancipa per arrivare alla non consapevolezza dell’azione gnostica intrapresa, anche il sognatore lucido, come il corpo percepente degli artefatti contemporanei, effrange le barriere percettive fisiologiche. Lo spazio della vita secolare e quello dell’esperienza artistica ed architettonica sono divenuti infatti, negli ultimi decenni, domini sempre più contigui, in cui i sensi del fruitore ora sono stati messi a dura prova, iper-sollecitati dalla volontà vessatoria dell’artista-progettista; ora invece blanditi dall’atmosfera accogliente e benevolmente immersiva di installazioni o di ambienti in cui si entra nella speranza di una palingenesi globale, non solo percettiva ma spesso anche spirituale. Oltre a mettere in palese discussione i limiti delle nostre capacità sensorie, queste opere producono nuove domande, dal momento che in esse impressioni visive, acustiche e aptiche si scambiano vicendevolmente, cancellandosi o esaltandosi: sono dunque ancora validi i consolidati parametri valutativi e rappresentativi per opere che, nel loro dispiegarsi, ci interrogano su cosa stiamo vedendo, sentendo o toccando? Intrecciati ad insospettabili approcci espressivi del passato, caratterizzati da un appeal sinestetico, questi nuovi luoghi dell’esperienza si sottopongono alla nostra attenzione privi di oggetto, immagine e fuoco su cui tentare di concentrare l’attenzione: lo spazio strutturato si dissolve in un campo percettivo totale e, ricondotti alla loro più pura struttura percettiva – quasi disincarnati e ricondotti a pure casse di risonanza del mondo fenomenico esterno -, i sensi paiono perdere la capacità di descrivere il mondo. Un nuovo modo di vedere, sentire, toccare sembra allora costituire la koinè di un altrettanto nuovo modo di immaginare lo spazio, in cui i confini tra ambiente ecologico e paesaggio interiore definiscono una nuova geografia e una nuova storia.
Se dovessimo individuare la forma archetipica a cui queste opere e le installazioni di cui parleremo sembrano rivolgere il proprio nucleo semantico, potremmo rintracciarlo nel cosiddetto ‘problema di Molyneux’ nelle varie traduzioni letterarie e drammaturgiche che da esso hanno preso le mosse. Com’è noto, la questione compare esplicitamente in una lettera che l’astronomo e fisico William Molyneux (1656-1698), autore di una Dioptrica nova (1692) scrisse al filosofo John Locke8 ponendogli il problema clinico di un cieco nato, al quale era stato insegnato a distinguere tra loro, mediante il tatto, forme primarie (ad esempio, un cubo da una sfera), e che riacquista la vista a seguito di un’operazione di rimozione della cataratta congenita. La domanda dell’autorevole membro del Trinity College di Dublino era se l’individuo, ora vedente, avrebbe continuato a riconoscere “alla prima occhiata” forme e oggetti senza l’ausilio del tatto. La conclusione a cui giunsero i due studiosi era negativa, e così anche conveniva Berkley nella sua New theory of vision (1709), spingendosi al punto di dire che il giudizio sugli oggetti, percepiti visivamente, non è che un effetto dell’esperienza.9 Dunque si impara a percepire lo spazio associando, al senso della vista, il tatto e i movimenti muscolari, come lo stesso Voltaire confermò, in Elementi della filosofia di Newton del 1738 negli, riferendosi ancora ad un caso clinico, quello di un giovane che, a quattordici anni, vide la luce per la prima volta. Tuttavia, il risveglio può essere anche brusco come, in una situazione del tutto simile a quella riferita da Molyneaux, nel caso clinico e umano di Molly Sweeney, raccontatoci dal neurologo Oliver Sacks nel saggio Vedere e non vedere, posto ad introduzione del dramma omonimo di Brian Friel. L’autore rielabora la vicenda di una donna, appunto Molly Sweeney, di quarant’anni, cieca ma completamente autonoma, che lavora come fisioterapista in un centro benessere della città (inventata) di Ballybeg. Il tatto è la strada per entrare in contatto col mondo e per riconoscerlo, e supplisce perfettamente all’assenza della vista. La donna, convinta dal marito Frank a sottoporsi ad un’operazione chirurgica, riacquista in parte la vista, ma il tanto atteso esito positivo provoca invece in lei un grande trauma. Molly si trova infatti a dover ri-conoscere il mondo, a reinventare il suo orientamento, a re-imparare a vedere. Tutto ciò sfocerà in un tragico fallimento, probabilmente già intuito dalla paziente prima dell’intervento. Il dramma riapre dunque l’antico interrogativo che William Molyneux sottopose all’amico John Locke, ovvero: “esistono le idee innate o la conoscenza deriva dall’esperienza ?” E ancora: “esiste uno ‘stadio zero’ della conoscenza?” L’apparente situazione di minus habens in cui la cecità ci confina, in realtà non interrompe la capacità di conoscenza del mondo: tutti i ciechi sostengono di ‘vedere delle immagini’ e dunque si potrebbe concludere che si può essere ciechi ma è impossibile non vedere. Le immagini qui presentate sono tratte dalla messa in scena realizzata, per il Teatro Valle di Roma nel 2008 dal regista Andrea De Rosa il quale, per meglio far entrare in sintonia il pubblico con la protagonista, immerge il teatro nell’oscurità più profonda nei primi trenta minuti di spettacolo. Si è chiamati dunque a percepire solo i suoni, o meglio i ‘ricordi sonori’ di Molly. Suoni che accarezzano e avvolgono lo spettatore ‘brancolante nel buio’, grazie all’impianto audio a dodici punti di diffusione progettato da Hubert Westkemper. Poi viene la luce, per Molly e per noi. E, quando anche l’ultima benda è stata tolta dall’oftalmologo dr. Rice, sebbene la nostra di cecità fosse soltanto un semplice artificio, siamo ancora legati a Molly dal fastidio che forme, luci e colori producono, imprimendosi gradualmente sulle nostre retine acclimatate al buio. Sensazione amplificata dalla raffinata scenografia, in cui pochi elementi dai brillanti colori ‘si staccano’ dallo sfondo bianco, e dal magistrale utilizzo delle luci con cui, ricreando un costante effetto di ‘rumore visivo’, ci viene offerta una sorta di visione onirica. Nel dramma di Friel il buio è la sede della verità e della felicità, il luogo dove vedere, vedersi e percepire l’amore degli altri, mentre il sopraggiungere del giorno e della luce coincidono con il ritorno delle regole sociali, della visione standardizzata, dalla percezione omologata, dove l’altro da sé è perduto e i sogni infranti. Frank vorrebbe curare la donna amata, ma il suo errore è quello amare la sua possibile cura forse più della propria donna. La scenografia (ideata ed eseguita prima in bozzetto dal regista Andrea de Rosa) è molto semplice: il bianco domina in assoluto,inducendo nello spettatore un senso di freddezza e di frigida irrealtà contro cui si staglia Molly vestita di rosso; ma il bianco è anche il colore dell’ospedale, quello in cui fu ricoverata la madre della protagonista, quello in cui lei stessa verrà operata e quello in cui verrà rinchiusa. Gli elementi scenici sono essenziali: al centro è posto un tavolo, con poche sedie, che all’occorrenza si trasformerà in un letto da manicomio, una poltrona a destra, e a sinistra una specchiera molto semplice e stilizzata: il tutto rigorosamente bianco, come la parete di fondo, un enorme lenzuolo. Infine, sul tavolo, disposti in un vaso, alcuni fiordalisi rossi che, al centro della scena, sembrano quasi di un’intensità abbagliante. Il rumore del temporale segna il sopraggiungere della descritta scenografia e sancisce la ripresa della percezione visiva, ma tutto ciò non viene svelato subito allo spettatore, bensì in maniera graduale cosicché gli oggetti ancora immersi dell’oscurità sembrano banchi di nebbia grigia e nera. La percezione visiva risulta ovattata, come fosse avvolta da un lenzuolo trasparente: infatti quest’impressione non tradisce perché tra gli attori è il pubblico c’è un pannello trasparente, una sorta di tangibile quarta parete a ricordare la cataratta della protagonista e la distanza tra lei e il mondo, un tessuto semirigido simile a una zanzariera che rende tutto ciò che è al di là di sé irreale e lontano esattamente come Molly vede le cose: infatti, il suo intervento non riesce completamente e le è permesso di guardare solo in parte il mondo che la circonda.
Translation - Spanish Cancelar los sentidos, apartar los propios límites físicos, salirse del cuerpo: expresiones que más parecen recoger las exigencias de un viaje iniciático, el incipit de un camino místico hacia el conocimiento, en el que la pura trascendencia, más que indicar las coordenadas con las que realizar e interpretar el espacio de algunos artefactos contemporáneos, se convierta -en un aparente oxímoron- en dominio de lo cotidiano. El deleite artístico, como también la génesis de las obras sobre el análisis de las cuales se basa éste, parece haberse alejado hoy en día del aparatoso ser de los objetos; parece virar, en ocasiones, hacia formas que prescinden de éste, no produciendo así imágenes (en la acepción convencional del término), ni exigiendo a nuestra mirada una particular atención sobre nada concreto. Parece evidente que el elemento central de la novecentista civilización de las imágenes -o, dicho de otro modo, el dominio de lo visual- se está trasformando radicalmente invitando así al espectador a una apertura sensorial que dilate la mera experiencia del deleite, pero que al mismo tiempo, introduzca a un nuevo tipo de opacidad, de ceguera inducida, si bien solo temporal. Es, en efecto, evidente que ésta requiere la anulación de los procedimientos tradicionales de interpretación y deleite de las obras, produciendo un estado inicial de parálisis de nuestros órganos visuales pero, al mismo tiempo, desencadenando una expansión (o transformación) de los demás sentidos, que el anterior dominio cognoscitivo había denigrado o despreciado. Este tipo de denigración, que halla sus orígenes en el platónico desprecio por el sujeto sensorial1, empieza a ser combatida históricamente desde Descartes, cuando con el desarrollo de la interpretación científica de la naturaleza “...progresivamente se acentúa el rol de la percepción sensorial, haciendo de este modo posible el sensualismo en su forma más radical. El intento kantiano de fundar en sede gnoseológica una posición intermedia entre ambos extremos, en virtud de un equilibrio entre “elemento creativo” y “elemento pasivo” en el proceso cognoscitivo, parece haber perdido fuerza de persuasión, teniendo en cuenta además la cada vez mayor influencia de las ciencias de la naturaleza respecto al neopositivismo lógico”2. Este nuevo modo de entender el espacio nos proyecta hacia una situación perceptivo-gnoseológica, que tal vez se presente más unida a prácticas de meditación o a estados alterados de conciencia, pero que no deja de requerir del espectador un atento substrato: el artista nos conduce hasta el umbral de un espacio liminar, al cual nos invita a entrar y deja que se lleve a cabo en nosotros la experiencia del lugar, la epifanía de la sinestética percepción de luces, sonidos, materias y, quizás también, de olores y sabores. El aturdimiento inicial revela a menudo que el artista trata de comunicarse con la parte de nuestro cerebro límbica, asociativa, dejando relegada al fondo por algunos instantes a la parte pre-frontal, lógica. Algo así como un despertar de la parte más arquetípica y animal de nuestro sistema perceptivo, aquélla capaz de captar los estímulos más sutiles que se dispersan en la polución endémica que domina el mundo contemporáneo. De todos modos, para que la experiencia estética (?) sea plena y sobre todo narrable, se sigue requiriendo la atención, aunque sea difusa y alienada, quizás con un vocabulario renovado, más compuesto por alusiones, metáforas y símbolos que por grabaciones circunstanciales de lo que ha sucedido en instalaciones de este tipo. En este sentido, las estrategias del deleite parecen comparables a aquellos llamados sueños lúcidos en los que el onironauta -de quien ya en tiempos insospechados nos ofrece Fëdor Michajlovič Dostoevskij una descripción3-, es consciente de estar soñando; hasta tal punto lo es, que es capaz de orientar su proprio recorrido por el sueño, interviniendo incluso en su propia escenografía psíquica. Tanto la dimensión del sueño como la de la vigilia, son inconciliables allí donde la presencia de la una excluye la existencia de la otra: según algunos investigadores, el sueño consciente -o lucid dream, en la definición que de él da su mayor estudioso, el holandés Frederik Willems van Eeden (Haarlem 1860 – Bussum 1932), y que retoma el estadounidense Stephen La Berge4- es el lugar donde estas experiencias, que aparentemente no pueden reducirse la una a la otra, encuentran un espacio común, que se puede alcanzar incluso con técnicas inductivas, experimentadas en un laboratorio, que muestran sugestivas similitudes con prácticas mucho más antiguas pertenecientes a ámbitos de la sabiduría como el yoga tibetano del sueño.5
Durante un sueño lúcido, el soñador es capaz de suscitar, mediante un electroencefalograma, el trazado de una fase del sueño REM (Rapid Eyes Movements), de este modo, mediante sus propios movimientos oculares voluntarios, puede indicar al observador externo que se halla en un estado de sueño vigilia. Estar en territorio onírico y aún así ser capaces, al mismo tiempo, de comunicar con el mundo exterior: el elemento que se presenta ante nuestra atención es, por tanto, el de la conciencia de la experiencia, o sea el hecho de que sea posible para el onironauta decir donde se halla y qué le está sucediendo. El sueño lúcido, bajo esta acepción, no es más que el epifenómeno de la consecución de la completa conciencia interior de poseer a la vez dos entidades corpóreas, una física -erradicada en el mundo ecológico de los fenómenos que pueden medirse cuantitativamente-, pero silente y pasiva; y la otra onírica, dislocada en plena actividad en el mundo virtual. Mientras que las coordenadas temporales en semejante ámbito de la experiencia dan la impresión de no faltar totalmente, ya que se mantiene una cierta proporción entre el crono-vivido del sueño y el de la vigilia, las espaciales se derrumban gracias a que se deshacen los lazos con las leyes de la física que amarran el cuerpo perceptivo a la gravedad y al hic et nunc ambiental. Los escenarios mutan ahora rápidamente y el sentido de la orientación pierde su fundamento, abriendo de este modo espacio a la modalidad del vuelo o del desplazamiento instantáneo, no tanto del sujeto perceptor, como de todo el escenario que se presenta ante sus ojos, como si se estuviera desenrollando un makimono nipón. El sentido de individualidad se presenta nítido, exacto, la autoconciencia es total, si bien diferente de la diurna; se caracteriza por activarse con mayor agudeza o por una percepción sinestésica que colabora con los sentidos, aún virtualmente, o por la reducción de todos los sentidos a un unicuum. Walter Benjamin, en su texto de 1915 El arco iris, alude a este modelo sensorial al referirse a la vista onírica: un modo de ver tan intenso que hace que desaparezcan los demás sentidos, así como la propia autoconciencia. El filósofo se refiere a esto en el diálogo entre los dos protagonistas Georg y Margarethe, al narrar ésta última una experiencia onírica en los siguientes términos: “Y así era el sueño. Yo era toda ojos. Todos los demás sentidos se habían olvidado, habían desaparecido. Ni siquiera yo misma estaba, ni mi mente, que me desvela las cosas a partir de las imágenes sensibles. Yo no era una que miraba, era solo mirada. Y lo que veía no eran cosas, Georg, eran solo colores. Y yo misma era color en este paisaje.”6 No parecen muy diferentes los efectos materiales, como más adelante veremos, en algunas de las instalaciones del artista californiano Jaes Turrell, quien explícitamente refiere que “quiere utilizar la luz que vemos en los sueños y espacios que parecen provenir de esos sueños y que resultan familiares a quienes habitan esos lugares7.” Es muy compleja la realización en un museo de instalaciones de este tipo, ya porque implican mucho tiempo de adaptación sensorial por parte del visitante - de veinte a treinta minutos, e incluso una hora en algunos casos-, como por el hecho de que la mayor parte de los espectadores no están adecuadamente preparados, desde el punto de vista psicológico, para someterse a este tipo de experiencia de extrañamiento tan parecida a la que se produce durante los sueños lúcidos. Estos últimos, durante el sueño, se pueden inducir tanto por procesos espontáneos -especialmente bajo el efecto de emociones muy intensas-, como por técnicas específicas y, finalmente, por estímulos externos (en general por estímulos luminosos, acústicos o hápticos) que favorecen el desarrollo de la lucidez y los correlativos psicofisiológicos. El sentido de realidad que se desprende de estas experiencias, como comentábamos, es más intenso, hasta el punto de que el estado de conciencia ordinario parece una ilusión. Percepción ésta que se puede atribuir en parte al estado de des-identificación que el soñador lúcido vive respecto a los contenidos de sus sueños. Éste se ha expandido hasta ser pura autoconciencia que contempla las imágenes y secuencias oníricas que se proyectan en su mente. A menudo, también el lenguaje ordinario deja de ser eficaz para describir lo que se ha visto en sueños; tales han sido, y así de desconocidas, las sensaciones que se han experimentado, tan ajenas a los canales sensoriales habituales, ideadores y mnésticos. Por tanto la experiencia no se puede reducir al lenguaje descriptivo que pasa a través de los sentidos comunes, o mejor, que se basa en un nivel comunicativo en los que aquellos deflagran, se dilatan epasmódicamente, deviniendo extremamente receptivos a todos los estímulos procedentes de un mundo que, si bien es onírico, no deja de ser mundo. Como sucede en el Buddhismo Mahayana -donde la experiencia del vacío, que se puede alcanzar a través del recto recorrido que indica el sendero óctuple, pasa a través de los sentidos, pero se emancipa de los mismos para llegar a la no conciencia de la acción gnóstica acometida- también el soñador lúcido, como el cuerpo que percibe los artefactos contemporáneos, rompe las barreras perceptivas fisiológicas. El espacio de la vida seglar y el de la experiencia artística y arquitectónica se han convertido en los últimos decenios en espacios cada vez más contiguos donde se ha sometido a los sentidos del espectador a una dura prueba, hiperestimulados por la voluntad vejatoria del artista-progresista. En cambio ahora, nos sentimos embelecados por la acogedora y benévolamente inmersiva atmósfera de instalaciones y ambientes en los que se entra con la esperanza de una palingénesis global, ya no sólo perceptiva, sino también espiritual. Además de poner en clara tela de juicio los límites de nuestras capacidades sensoriales, estas obras generan nuevas preguntas, desde el punto en que esas impresiones visuales, acústicas y hápticas se intercambian triunfalmente, borrándose o acentuándose: por tanto, ¿todavía están vigentes los parámetros estimativos consolidados y representativos para obras que, al desplegarse, nos interrogan acerca de lo que estamos viendo, sintiendo o tocando? Enredados en insospechables enfoques expresivos del pasado, caracterizados por un appeal sinestésico, estos nuevos lugares de la experiencia se someten a nuestra atención privados de objeto, imagen y foco sobre los que tratar de centrar la atención: el espacio estructurado se disuelve en un campo perceptivo total y, reconducidos a su estructura perceptiva más pura -casi desencarnados y reconvertidos en meras cajas de resonancia del mundo fenomenológico exterior-, los sentidos parecen perder la capacidad de describir el mundo. Un nuevo modo de ver, sentir, tocar parece entonces constituir la koinè de otro e igualmente nuevo modo de imaginar el espacio, donde los límites entre ambiente ecológico y paisaje interior definen una nueva geografía y una nueva historia.
Si tuviéramos que localizar la forma arquetípica a la que parecen dirigir su propio núcleo semántico estas obras y las instalaciones de que hablaremos, podríamos reconocerlo en el llamado ʻproblema de Molyneuxʼ, en las varias traducciones literarias y dramatúrgicas que de éste han surgido. Como es sabido, la cuestión aparece explícitamente en una carta que el astrónomo y físico William Molyneux (1656-1698), autor de una Dioptrica Nova (1692), escribió al filósofo John Locke8 presentándole el problema clínico de un ciego de nacimiento, a quien habían enseñado a distinguir mediante el tacto formas primarias (por ejemplo, un cubo de una esfera) y que recupera la vista tras una operación mediante la que se le extirpa la catarata congénita. La pregunta del acreditado miembro del Trinity College de Dublín era si el individuo, ahora vidente, seguía reconociendo a “primera vista” formas y objetos sin la ayuda del tacto. La conclusión a la que llegaron los dos estudiosos fue negativa, y también así convenía Berkley en su New theory of vision (1709), atreviéndose incluso a decir que el juicio sobre los objetos percibidos visualmente, no es más que un efecto de la experiencia9. Se aprende por tanto a percibir el espacio asociando, al sentido de la vista, el tacto y los movimientos musculares como el propio Voltaire confirmó en Elementos de la filosofía de Newton (1738), al referirse una vez más a un caso clínico: el de un joven que con catorce años vio la luz por primera vez. No obstante, el despertar puede ser brusco como, en una situación parecida a la referida por Molyneux, en el caso clínico y humano de Molly Sweeney que nos cuenta el neurólogo Oliver Sacks en el ensayo Ver y no ver, que aparece como introducción del drama homónimo de Brian Friel. El autor adapta la vivencia de una mujer, Molly Sweeney, de cuarenta años, ciega pero completamente independiente que trabaja como fisioterapeuta en un centro de bienestar de la inventada ciudad de Ballybeg. El tacto es el vehículo para entrar en contacto con el mundo y para reconocerlo, y suple perfectamente la ausencia de vista. La mujer, convencida por su marido Frank a someterse a una operación quirúrgica, recupera parcialmente la vista, pero el tan esperado resultado positivo, le provoca en cambio un gran trauma. Molly tiene que volver a reconocer el mundo, volver a inventar su orientación, volver a aprender a ver. Todo resulta en un trágico fracaso, probablemente ya intuido por la paciente antes de la operación. Por tanto, el drama vuelve a abrir el antiguo interrogante que William Molyneux planteó a su amigo John Locke, esto es: “¿existen las ideas innatas o la conciencia deriva de la experiencia?” Y también: “¿existe un ‘estadio cero’ de la conciencia?”. La aparente situación de minus habens a la que nos confina la ceguera, no interrumpe en realidad la capacidad de conocer el mundo: todos los ciegos sostienen que ‘ven imágenes’ y, por tanto, podríamos concluir diciendo que se puede ser ciegos, pero que es imposible no ver. Las imágenes que aquí presentamos proceden de la puesta en escena realizada en el Teatro Valle de Roma por el director Andrea de Rosa, quien, para hacer que el público entrara mejor en sintonía con la protagonista, sumergió el teatro en la más profunda oscuridad durante los primeros treinta minutos del espectáculo. Por tanto, se perciben solo los sonidos, o más bien los ‘recuerdos sonoros’ de Molly. Sonidos que acarician y envuelven al espectador ‘que se tambalea en la oscuridad’, gracias a la instalación audio y a los doce puntos de difusión proyectados por Hubert Westkemper. Después se hace la luz, para Molly y para nosotros. Y, cuando el oftalmólogo Dr. Rice termina de retirar la última venda, y aunque nuestra ceguera no fuera sino un mero artificio, nos seguimos sintiendo unidos a Molly por la molestia que formas, luces y colores nos producen al imprimirse gradualmente en nuestras retinas, acostumbradas a la oscuridad. Esta sensación se amplifica por una escenografía delicada, en la que unos pocos elementos de colores brillantes ‘se despegan’ del fondo blanco y por un uso magistral de las luces con las que, recreando un constante efecto de ‘ruido visual’, se nos ofrece una especie de visión onírica. En el drama de Friel, la oscuridad es la sede de la verdad y la felicidad; el lugar donde ver, verse y percibir el amor de los demás. Mientras que la llegada del día y de la luz coinciden con el regreso de las reglas sociales, de la visión estándar, de la percepción homologada, donde el otro se pierde solo y los sueños se rompen. Frank querría curar a la mujer amada, pero su error es el de amar la posible cura tal vez incluso más que a su mujer. La escenografía (ideada y realizada primero en boceto por el director Andrea de Rosa) es muy sencilla: el blanco domina absolutamente, conduciendo en el espectador una sensación de frialdad y de frígida irrealidad contra la que se destaca Molly, vestida de rojo. El blanco es también el color del hospital, el mismo en donde fue ingresada la madre de la protagonista, el mismo en el que ella misma es operada y el mismo donde la encerrarán. Los elementos escénicos son esenciales: en el centro está colocada una mesa, con pocas sillas, que se transformará en una cama de hospital cuando sea necesario, una butaca a la derecha y, a la izquierda, un espejo muy sencillo y estilizado. Todo de blanco riguroso, como la pared del fondo, una sábana enorme. Para terminar, sobre la mesa, colocados en un jarrón, unos lirios rojos que, en el centro de la escena, parecen casi de una intensidad cegadora. El estruendo de una tormenta marca la aparición de la escenografía descrita y permite la recuperación de la percepción visual, pero todo esto no se le presenta enseguida al espectador, sino gradualmente, de forma que los objetos que están todavía sumergidos en la oscuridad parecen bancos de niebla gris y negra. La percepción visual resulta placentera, como si estuviera envuelta por una sábana transparente, una especie de cuarta pared tangible que recuerda la catarata de la protagonista y la distancia que hay entre ella y el mundo; un tejido semi-rígido parecido a una mosquitera, que hace que todo lo que está más allá sea irreal y lejano, justo como Molly ve las cosas: de hecho, su operación no tiene un éxito completo y solo se le permite ver una parte del mundo que la rodea.
Italian to Spanish: Centro Studi General field: Social Sciences Detailed field: Education / Pedagogy
Source text - Italian Il Centro Studi da oltre vent’anni offre, attraverso la presenza qualificata di prodotti e servizi nei punti vendita e nel territorio, risposte attente e puntuali alle esigenze dei genitori e degli operatori sanitari e scolastici.
L’attività del Centro Studi, si è sviluppata a partire dal tema della gestazione, per aiutare le future mamme ad affrontare la maternità in modo sereno e consapevole. Intorno a questo nucleo di interesse è andata crescendo una molteplicità di nuovi studi e interventi, rivolti alle esigenze della prima infanzia e della sicurezza nell’ambiente domestico.
Il discorso rivolto alle mamme si è allargato all’intero nucleo familiare, mentre la crescente attenzione dedicata ai temi sanitari, sociali e scolastici ha ottenuto l’apprezzamento e la partecipazione di un numero sempre più ampio di operatori del settore.
Translation - Spanish Mediante la asistencia cualificada de productos y servicios en los puntos de venta y en el territorio, hace más de veinte años que Centro de Estudios ofrece respuestas atentas y puntuales a las exigencias de los padres y de los operadores sanitarios y escolares.
La actividad de Centro de Estudios empezó a desarrollarse a partir del tema del embarazo para ayudar a las futuras mamás a encarar la maternidad con serenidad y conocimiento de causa. Entorno a este centro de interés han ido creciendo muchas actividades y estudios nuevos, dirigidos a las exigencias de la primera infancia y la seguridad en el ambiente doméstico.
Lo que empezó dirigiéndose a las madres ha ido extendiéndose a todo el núcleo familiar; mientras que la creciente atención que se dedica a los centros sanitarios, sociales y escolares ha sido muy bien recibida y ha contado con la participación de un número cada vez más amplio de operadores del sector.
Italian to Spanish: Trasporti General field: Tech/Engineering Detailed field: Transport / Transportation / Shipping
Source text - Italian 06/01/2010 Municipio X: manifestazione sportiva
In occasione della XVIII Edizione della manifestazione podistica nazionale " Corri per la Befana ", dalle ore 05.00 e sino a cessate esigenze, verranno chiuse al transito veicolare le seguenti Vie: Via Lemonia nel tratto compreso tra Via Lucio Papirio e Circonvallazione Tuscolana; Circonvallazione Tuscolana da Via Caio Canuleio a Via Tuscolana; Viale Tito Labieno - Via Sestio Calvino - Viale Appio Claudio nei tratti compresi tra Via Caio Canuleio e Via Lemonia; Via delle Capannelle per il tempo necessario al passaggio degli atleti. Deviate le seguenti linee bus: 654, 664, C11.
Lunedì 4 gennaio - 17:10
Anello Ferroviario
Dal 01 Gennaio 2010 al 28 Febbraio 2010 divieto di accesso per i ciclomotori e motoveicoli a due, tre e quattro ruote, dotati di motore a quattro tempi (Pre-Euro 1 o Euro 0).
agevolazione trasporti per over 70
Anche nel 2010 la rete cittadina di trasporto pubblico sara' gratuita per i residenti nel Comune di Roma che abbiano dai 70 anni in su e che abbiano un reddito, calcolato con la novita' del parametro ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), fino a 15mila euro.
Translation - Spanish 06/01/2010 Localidad X: evento deportivo
Con ocasión de la XVIII Edición de la celebración atlética nacional “Corre por la Befana”, desde las 5 de la madrugada y hasta que las exigencias así lo requieran, quedarán cerradas al tráfico las siguientes Calles: Via Lemonia, en el tramo comprendido entre la Via Lucio Papirio y la carretera de circunvalación Tuscolana; la carretera de circunvalación Tuscolana, desde Via Caio Canuleio a Via Tuscolana; Viale Tito Labieno – Via Sestio Calvino – Viale Appio Claudio, en los tramos comprendidos entre Via Caio Canuleio y Via Lemonia; Via delle Campanelle, durante el tiempo necesario para el paso de los atletas. Se desviarán las siguientes líneas de autobús: 654, 664, C11.
Lunes 4 de enero – 17:10
Anillo ferroviario
Desde el 1 de enero y hasta el 28 de febrero de 2010 se prohíbe el acceso a ciclomotores y vehículos de dos, tres y cuatro ruedas dotados de motor de cuatro tiempos (pre-Euro 1 o Euro 0)
Facilidades en el transporte para las personas mayores de 70 años
También en 2010 la red de transporte pública urbana será gratuita para los residentes de Roma mayores de 70 años y cuyo rédito, calculado aplicando la novedad del parámetro ISEE ( Indicador de la Situación Económica Equivalente), no supere los 15.000 euros.
Catalan to Spanish: L'Efecte hivernacle General field: Social Sciences Detailed field: Environment & Ecology
Source text - Catalan L’efecte hivernacle
La temperatura de la Terra és perfecta per a la vida. Ni massa freda, com a Mart, ni massa calenta com a Venus. Gràcies a aquestes condicions la vida s’estén per tot el nostre planeta.
La Terra s’escalfa gràcies a l'energia del Sol. Una part d’aquesta energia que arriba a l'atmosfera és reflectida en direcció a l’espai, una altra part molt petita és absorbida i la resta travessa l'atmosfera i escalfa la Terra.
Però quan l'energia és reflectida des de la Terra es produeix un fenomen diferent. Alguns gasos de l'atmosfera, com el CO2 i el vapor d'aigua, la retenen, absorbeixen gran part de l'energia i eviten que torni a l’espai. Això contribueix a mantenir el planeta calent.
Així, doncs, l'atmosfera deixa passar la radiació del Sol per tal que escalfi la Terra, però impedeix que la radiació de la Terra escapi a l’espai. És molt semblant al que passa als hivernacles, amb la diferència que d’hivernacle utilitza el vidre i no pas els gasos de l'atmosfera per retenir l’escalfor. Per això aquest fenomen natural ha rebut el nom d’efecte hivernacle. Si l’escalfor no restés retinguda a l'atmosfera, la Terra es glaçaria.
L’escalfament global del planeta
Avui dia l’efecte hivernacle s’ha incrementat molt a causa de la contaminació de l'atmosfera, que provoca que alguns gasos retinguin massa calor a prop de la superfície de la Terra. És per aquest motiu que les temperatures del planeta han augmentat en l’últim segle.
L’escalfament del planeta és un fenomen que cada vegada causa més preocupació. Pot semblar que el fet que la temperatura de la Terra augmentés un parell o tres de graus, s’hi notaria ben poc, però no és pas cert. Si la temperatura pugés uns quants graus, es produiria un canvi climàtic a nivell mundial, cosa que provocaria l’extinció de molts éssers vius, arruïnaria l’agricultura i la vegetació, i això tindria conseqüències nefastes per a la humanitat. Si la temperatura pugés, es fondria una part dels casquets polars, amb la consegüent inundació de les zones costaneres molt poblades.
Translation - Spanish El efecto invernadero
La temperatura de la tierra es perfecta para la vida.
Ni demasiado fría, como en Marte, ni demasiado caliente, como en Venus. Gracias a estas condiciones la vida se extiende por todo nuestro planeta.
La Tierra se calienta gracias a la energía del Sol. Parte de esta energía que llega a la atmósfera se refleja hacia el espacio, otra parte muy pequeña se reabsorbe y el resto atraviesa la atmósfera y calienta la Tierra.
Pero cuando la energía se refleja desde la Tierra se produce un fenómeno diferente. Algunos gases de la atmósfera, como el CO2 y el vapor de agua, la retienen, absorben gran parte de la energía y evitan que vuelva al espacio. Esto contribuye a calentar el planeta.
Así pues, la atmósfera deja que la radiación solar pase para calentar la Tierra, pero impide que la radiación terrestre se escape hacia el espacio. Es muy parecido a lo que sucede en los invernaderos, con la diferencia de que el invernadero utiliza el cristal y no los gases de la atmósfera para retener el calor. Por este motivo, este fenómeno natural recibe el nombre de efecto invernadero. Si la atmósfera no retuviera el calor, la Tierra se helaría.
El calentamiento global del planeta
Hoy en día el efecto invernadero ha sufrido un severo incremento debido a la contaminación atmosférica, que provoca que algunos gases retengan demasiado calor cerca de la superficie de la Tierra. Debido a esto, a lo largo del último sigo las temperaturas del planeta han aumentado.
El calentamiento del planeta es un fenómeno que preocupa cada vez más. Podría parecer que el hecho de que la temperatura terrestre aumentara un par o tres de grados no debería notarse demasiado, pero no es cierto. Si la temperatura subiera un par de grados, se produciría un cambio climático a nivel mundial que provocaría la extinción de muchos seres vivos, arruinaría la agricultura y la vegetación, las consecuencias que esto comportaría para la humanidad serían nefastas. Si la temperatura subiera se fundiría una parte de los cascos polares con la consiguiente inundación de zonas costeras muy pobladas.
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Me llamo Cristina Bartolomé y soy traductora y revisora.
Me licencié en Filología Hispánica en 2002 la Universitat de Lleida y me especialicé en Edición y corrección de textos en la Università Cattolica de Milán.
En 2003 realicé un stage en la editorial de arte ART'È FMR de Milán y empecé mis colaboraciones con varias editoriales y agencias.
Además impartí clases de español para extranjeros tanto en Italia como en España durante 10 años.
Desde 2008 trabajo exclusivamente como proveedora de servicios lingüísticos y traductora autónoma.
Mi lengua de destino es el español y mis lenguas de origen el italiano, el inglés y el catalán.
La calidad y la puntualidad en las entregas son mi mejor carta de presentación.
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