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Italian to Spanish: I Corsari delle Bermude, XII Capitolo General field: Art/Literary
Source text - Italian 12
I DUE FRATELLI
In un salottino minuscolo, colle pareti coperte di seta rossa damascata, con piccoli divani all'intorno ed un tavolino d'ebano, nel mezzo, sul quale entro candelabri d'argento fumavano quattro candele, stava seduta, in una comoda poltrona, Mary di Wentwort.
Vedendo entrare il marinaio, si era alzata di scatto, fissando su di lui i suoi occhi azzurri.
Era una bellissima fanciulla di appena diciott'anni, alta, slanciata, con un vitino da vespa, racchiuso in un accappatoio di percalle azzurro guarnito con pizzi di Bruxelles. Aveva i capelli biondi, dai riflessi dell'oro, le labbra piccolissime, rosse come il corallo del Mediterraneo, le gote rosee come le grosse mele di Normandia.
Testa di Pietra era rimasto stupito.
S'inchinò goffamente dinanzi alla fidanzata del suo comandante, poi fece il saluto militare, non sapendo che cosa altro fare.
- Avete pronunciato un nome a me caro - disse la bionda miss in preda a vivissima commozione. - William Mac Lellan.
- Sì, miss, - rispose Testa di Pietra.
- Siete venuto qui a rappresentare una infame commedia per incarico del marchese d'Halifax.
- Signora, - rispose il bretone con voce grave. - Sono il mastro della Tuonante, e la Tuonante è comandata da sir William Mac Lellan. Sono pronto a farmi uccidere per il mio capitano. Il marchese d'Halifax? Non l'ho mai conosciuto. Venite pure e vedrete, miss, come monterò all'abbordaggio colla mia sciabola.
- Dov'è il baronetto?
- Ho detto alla vostra cameriera che si trova più vicino di quello che potreste supporre, miss.
- Ditemi allora dov'è.
- Volete vederlo?
- Qualunque cosa accada... Sì, marinaio.
Testa di Pietra si avvicinò ad una finestra, sollevò la tenda di seta violetta, poi, dopo aver lanciato al di fuori un rapido sguardo, disse: - Non scorgete, miss, due ombre che passeggiano dinanzi alla torre e guardano quassù? Uno è il baronetto, e l'altro, Piccolo Flocco, il suo fido gabbiere.
Mary di Wentwort era corsa alla finestra.
- Egli! William! - esclamò.
- È il più alto, signora, - disse il bretone.
- Come potrei fare per vederlo? - chiese con voce singhiozzante
- Si fa salire, signora.
Fin qui? Colle sentinelle che guardano il ponte levatoio del castello?
Mary di Wentwort lo guardò con estrema ansietà, interrogandolo cogli occhi.
- Signora, - disse Testa di Pietra con voce grave - vi assicuro che fra cinque minuti sir Willam sarà ai vostri piedi.
- Non posso credere ad un simile miracolo.
- Facciamo tanti miracoli, noi marinai! Permettete che mi ritiri nell'altra stanza per sbarazzarmi dei trentacinque metri di corda che mi soffocano e che serviranno al capitano per dare la scalata ed arrivare a contemplare i vostri bellissimi occhi.
- Fate pure, brav'uomo.
Testa di Pietra passò rapidamente nel salottino e si tolse la larghissima casacca, borbottando:
Aveva cominciato a togliersi la corda, e di quando in quando vi faceva un buon nodo bene stretto per facilitare al baronetto e a Piccolo Flocco l'ascensione, Quand'ebbe terminato, si rimise la casacca, passò nell'altra stanza e, dopo aver raccomandato alle due donne il massimo silenzio, fissò un capo della corda ad una sbarra che si trovava a circa tre quarti d'altezza della finestra gotica. Assicuratosi parecchie volte della sua solidità, lanciò il rotolo nel vuoto. Il piazzale era deserto, non essendovi da quella parte nessuna entrata che conducesse al castello.
- Miss, - disse Testa di Pietra, dopo essersi curvato sul davanzale - preparatevi a riceverlo. Egli sale già.
- Dio! Se cadesse!... - esclamò Mary impallidendo.
Mentre parlava il bravo bretone cercava di tenere ferma la corda, la quale di quando in quando subiva scosse.
- Viene, viene, miss! Sale come un gabbiano. Sfido io! È il vento dell'amore che lo spinge. Ecco un vento che manca alle nostre vele.
Ad un tratto una testa comparve all'altezza del davanzale. Testa di Pietra allargò le sue robustissime braccia, le spinse fuori e strappò dalla fune, il Corsaro, deponendolo dinanzi alla miss. Due grida, a malapena soffocate, si udirono:
- La mia Mary!
- William!
Poi il Corsaro e la giovane si gettarono l'uno nelle braccia dall'altra.
Testa di Pietra, che si era tirato prontamente in disparte, s'accorse, con stupore, che due grosse lagrime erano spuntate ne' suoi occhi.
- Per il borgo di Batz! - mormorò asciugandosele col dorso della mano. - Si è mai veduta una cosa simile? Un vecchio lupo di mare che a cinquant'anni piange ancora! Eppure non sono un coccodrillo!
Si era slanciato nuovamente verso la fune, mentre il Corsaro e la giovanetta si tenevano strettamente abbracciati.
- Piccolo Flocco monta all'abbordaggio della torre! - aveva esclamato.
Il giovane gabbiere infatti saliva, senza nemmeno fermarsi sui nodi. Anche la sua testa comparve, ed il suo corpo subì la ruvida stretta del bretone.
- Comandante, - disse allora il vecchio lupo di mare - permettete che ci ritiriamo nell'altra stanza: che cosa volete? Certe scene commuovono anche i cuori di pietra dei figli dell'Armorica.
E senza aspettare la risposta, tornò nello stanzino, seguito da Piccolo Flocco e dalla cameriera, chiudendo la porta.
- Non disturbiamo il comandante - disse. - I giovani han da dirsi tante cose, che i vecchi non devono ascoltare:
- Ehi, mi prendi per un vecchio, mastro? - chiese Piccolo Flocco.
- E nemmeno io son vecchia - protestò la cameriera.
- È vero. signora, ma che volete? Sono cosi scombussolato in questo momento, che i miei occhi devono vedere doppio come quelli di mastro Taverna. Perdonatemi, miss Nelly.
- Non ho mai portato questo nome, ve l'ho già detto - disse la cameriera.
- E come vi chiamate, allora?
- Diana.
- Ho conosciuto una fregata che portava questo nome e che per polena aveva una bellissima ragazza dai capelli svolazzanti con un arco in mano. Ma non rassomigliava affatto a voi, miss Nelly.
- Diana! Volete farmi arrabbiare?
- Farvi inquietare, mia dolcissima signora? - disse il mastro. Oh, mai! Siamo ruvidi marinai, non è vero, Piccolo Flocco? Ma abbiamo il più grande rispetto per le donne. Vedete infatti che le mettiamo sempre sulle polene delle nostre navi.
- Esposte prima di tutto alle ondate - disse Piccolo Flocco.
- Miss Diana, non si potrebbe bere un gocciolino? Suppongo che il marchese d'Halifax non vi terrà a corto di vino e di pirra, come dice Hulrik.
La cameriera sorrise, si avvicinò ad un piccolo mobile di palissandro e ne tolse due bottiglie, tre bicchieri e un cavatappi.
- Sturate pure, signore, - disse, rivolgendosi al mastro.
Questi prese le due bottiglie, le osservò attentamente, poi esclamò:
- Corbezzoli! Madera! Una marca famosa. Sei stato in quell'isola, Piccolo?
- Mai.
- Un'isola deliziosa, dove le donne sono graziosissime, gli uomini terribilmente gelosi ma il vino, mio caro, straordinario! Immagina che una volta mi riportarono a bordo su un carretto. Avete mai provato a bere, miss Nelly... cioè Diana? voglio dire a fare una bella bevuta come la sanno fare gli orchi dell'oceano?
- Io? - esclamò la cameriera. - Mai, signore. Non sono mai stata moglie d'un pescatore o d'un marinaio.
- Male, male, miss Diana! Provate questo Madera, e vedrete come il vostro cuore prenderà fuoco.
- Per chi?
- Non sono un bell'uomo forse? Di là tubano i gabbiani, e possiamo tubare pure noi, mia dolcissima Diana. Bel nome! Lo portava una fregata. E che fregata! E che bella polena aveva sul tagliamare! Tutti i marinai andavano ad ammirarla.
- Stura quel famoso Madera, invece di parlar tanto! - rispose il gabbiere. - Non vedi che la dolcissima miss lo aspetta?
- Subito - rispose Testa di Pietra.
- Berremo alla nostra Tuonante.
Aveva preso una bottiglia ed il cavatappi, quando vide la cameriera di scatto correre verso la porta che metteva sulla scala, e chiuderla a doppia mandata. Il bretone era rimasto di stucco.
- Dio mio! - esclamò in quel momento la cameriera, mettendosi le mani nei capelli, - Il marchese! Conosco il suo passo!
- Vino dannato! - borbottò il bretone. - Che sia proprio destino che non ti possa più riassaggiare?
Poi si riprese prontamente.
- Ecco, Piccolo Flocco una bella occasione per vuotare un bicchiere in compagnia d'un pari d'Inghilterra.
Il giovane gabbiere non pensava forse come il vecchio lupo di mare, perché si era lanciato dietro la cameriera che, entrata nella seconda stanza, gridava:
- Signora, il marchese! il marchese!
- Qui! a quest'ora! - esclamò la miss, impallidendo. - Impediscigli il passo, Diana.
- Di questo s'incaricheranno i miei marinai - disse il baronetto; - ma dopo che sarà entrato? Il momento tragico è giunto per dar termine agli odii di famiglia.
Aveva snudata la spada e l'aveva deposta sulla tavola. Anche Testa di Pietra, che era riuscito a sturare la bottiglia, si era presentato sulla soglia per nulla di sgomento.
- Lasciatelo entrare; poi impeditegli di uscire e di chiamare aiuto - disse rapidamente sir William.
- Questo è affar nostro - rispose il bretone. - Lasciate sbrigare a noi questa faccenda. A me, Piccolo Flocco!
Tornarono nel salottino proprio nel momento in cui bussavano alla porta.
Testa di Pietra empì i tre bicchieri, ne vuotò a metà uno, si asciugò col dorso della mano i baffi, poi, girò la chiave ed aprì.
Un uomo di media statura, pallidissimo, con una barba rossastra che gli dava un aspetto sgradevole, con due occhi neri ed imperiosi, entrò. Indossava la divisa di colonnello scozzese, e al fianco, portava la spada. Vedendo il marinaio, fece un gesto di stupore; poi, gli chiese con voce dura:
- Chi siete e che cosa fate qui?
- Scusate, signore, domando a voi chi siete - rispose tranquillamente il bretone.
- Non vi basta il vestito che indosso?
- No, signore.
- Sono il marchese d'Halifax.
- Ed io mi chiamo Testa di Pietra.
- Avete detto?
- Testa di Pietra - ripeté il bretone.
- Volete burlarvi di me? - gridò il marchese che cominciava a perdere la pazienza. - Come vi trovate qui?
- Dio mio, è dunque vietato a Boston, perché assediata dagli americani, di venire a trovare i parenti dopo quindici mesi che non si vedevano?
- Con quale nave siete giunto?
- Colla fregata Collington.
- Quando è giunta?
- Ieri sera, signore.
- Non l'ho veduta.
- Si è ancorata nell'avamporto, e perciò non è facile scorgerla, essendovi una linea di terra nel mezzo.
- Dov'è la cameriera?
- Colla signora.
- Bevete pure, per questa volta.
- Siamo pronti ad obbedire, colonnello. Sapete che i soldati e i marinai hanno sempre sete.
Il marchese gli volse dispettosamente le spalle e bussò alla seconda porta che la cameriera si era affrettata a chiudere con la sola maniglia.
- Si può? - chiese con tono burbero.
- Entrate, signor marchese, - rispose Diana con voce tremante. Testa di Pietra e Piccolo Flocco si erano alzati, snudando le sciabole d'arrembaggio e armando precipitosamente le pistole.
Il marchese, spinse l'uscio ed entrò. Tosto un grido soffocato, gli uscì dalle labbra. Appoggiato al tavolino, si trovava sir William, mentre Mary e la cameriera, atterrite, si erano rifugiate dietro la tenda della finestra.
- Voi! Voi! - disse il marchese, digrignando i denti e snudando sull'istante la spada.
- Vi stupisce fratello? - chiese il baronetto con voce ironica e calmissima. - Non vi aspettavate certo di rivedermi dentro Boston assediata?
Il marchese stette un momento silenzioso, fissando sul bastardo due occhi iniettati di sangue. Il suo viso, sempre pallido, era diventato spettrale.
- Voi! - ripeté, allungando la spada. - Chi vi ha condotto qui? Il demonio?
- No, i venti delle Bermude sulla mia corvetta - rispose il baronetto. Poi aggiunse con tono più ironico: - Bel modo di ricevere un fratello, colla spada in pugno!
- Voi siete il bastardo della mia famiglia e non mio fratello - disse il marchese.
Un'ondata di sangue colorò le gote del Corsaro.
- Il bastardo! - disse poi, facendo uno sforzo per contenersi.
- Del quale fra ventiquattro ore non si parlerà più, perché vi farò subito arrestare come nemico della patria, Ho saputo che prestate aiuto agli americani, e quindi vi farò impiccare.
Girò su se stesso e spinse impetuosamente la porta.
Testa di Pietra e Piccolo Flocco gli chiudevano il passo.
- Alto là mio colonnello! - disse il bretone. La ritirata non è più possibile; non vi rimane che di ammainare la bandiera ed arrendervi.
Translation - Spanish 12
LOS DOS HERMANOS
En una salita minúscula, con las paredes revestidas de seda roja adamascada, unos silloncitos en torno a una mesa de ébano que estaba en el centro de la sala, sobre la cual humeaban cuatro velas en candelabros de plata, estaba sentada en un confortable sillón Mary de Wentwort.
Al ver entrar al marinero, se levantó enseguida, mirándolo fijamente con sus ojos azules.
Era una hermosa joven de apenas dieciocho años, alta, delgada, con una cintura de avispa encerrada en un albornoz de percal azul adornado con encajes de Bruselas. Sus cabellos eran rubios con reflejos de oro, los labios finísimos, rojos como el coral del Mediterráneo, el rubor de sus mejillas asemejaba al de las grandes manzanas de Normandía.
Cabeza de Piedra se quedó atónito.
Se inclinó torpemente delante de la prometida de su comandante, e hizo a continuación el saludo militar, sin saber muy bien cómo comportarse.
―Habéis pronunciado un nombre que me es muy querido –dijo la rubia miss, muy conmovida–. William Mac Lellan.
―Sí, miss, ―respondió Cabeza de Piedra.
―Habéis venido aquí a hacer una comedia por encargo del marqués de Halifax.
―Señora ―respondió el bretón con voz grave–, soy el maestro de la Tronante y sir William Mac Lellan, su comandante. Estoy dispuesto a morir por mi capitán. ¿El marqués de Halifax? No lo he visto nunca. Venid si queréis, y veréis, miss, que me lanzaré al abordaje con mi sable.
―¿Dónde está el barón?
―He dicho a vuestra criada que se encuentra más cerca de lo que creéis, miss.
―Decidme, entonces, dónde está.
―¿Queréis verlo?
―Pase lo que pase... sí, marinero.
Cabeza de Piedra se acercó a la ventana, elevó un poco la cortina de seda violeta y, después de echar un rápido vistazo, dijo:
―¿No os habéis percatado, miss, de dos sombras que pasean delante de la torre y miran hacia aquí? Uno es el barón, y el otro, Pequeño “Flocco”, su gaviero de confianza.
Mary de Wentwort corrió hacia la ventana.
―¡Es él! ¡William! –exclamó.
―Es el más alto, señora –dijo el bretón.
―¿Qué puedo hacer para verlo? –preguntó casi sollozando.
―Hagámosle subir, señora.
―¿Hasta aquí, con los centinelas que vigilan el puente levadizo del castillo?
Mary de Wentwort lo miró con ansiedad, interrogándolo.
―Señora ―dijo Cabeza de Piedra con voz grave–, os aseguro que dentro de cinco minutos sir William estará a vuestros pies.
―No puedo creer en semejante milagro.
―¡Los marineros hacemos tantos milagros! Permitid que me retire a la otra habitación para desembarazarme de los treinta y cinco metros de cuerda que me están sofocando, y que servirán al capitán para escalar hasta aquí y contemplar vuestros hermosos ojos.
―Adelante, buen hombre.
Cabeza de Piedra pasó rápidamente a la salita y se quitó la amplia casaca, hablando para sí.
Había empezado a quitarse la cuerda, y de vez en cuando hacía un nudo bien fuerte para facilitar al barón y a Pequeño “Flocco” la escalada. Cuando terminó se volvió a poner la casaca, pasó a la otra habitación y, después de pedir a las mujeres el máximo silencio, ató un extremo de la cuerda a una barra que se encontraba a tres cuartos de la altura de la ventana gótica. Comprobó varias veces su firmeza y lanzó el rollo al vacío. El lugar estaba desierto, ya que en esa zona no había ningún acceso al castillo.
―Miss –dijo Cabeza de Piedra, inclinado sobre el alféizar–, preparáos para recibirlo. Ya está subiendo.
―¡Oh, Dios mío! ¡Si cayese...! –exclamó Mary palideciendo.
Mientras hablaba, el buen bretón intentaba tener firme la cuerda, que de vez en cuando sufría tirones.
―¡Ya llega, ya llega, miss! Sube como una gaviota. ¿Qué apostamos? Es el viento del amor que lo empuja. He aquí un viento que hace falta a nuestras velas.
Enseguida apareció una cabeza a la altura del alféizar. Cabeza de Piedra alargó sus robustos brazos y sacándolos por la ventana, agarró al Corsario, depositándolo delante de la miss. Se oyeron dos gritos, a duras penas sofocados:
―¡Mary mía!
―¡William!
Después, el Corsario y la joven se abalanzaron el uno en los brazos del otro.
Cabeza de Piedra, que se había apartado rápidamente, se dio cuenta, con asombro, que dos gruesas lágrimas corrían por su cara.
―¡Por el burgo de Batz! –murmuró, secándoselas con la mano― ¿Se ha visto alguna vez algo semejante? Un viejo lobo de mar que a los cincuenta años llora todavía. ¡Y, sin embargo, no soy un cocodrilo!
Se había acercado nuevamente a la cuerda, mientras el Corsario y la jovencilla se abrazaban fuertemente.
―¡El Pequeño “Flocco” viene al abordaje de la torre! –había exclamado.
El joven “Flocco”, en efecto, subía sin ni siquiera pararse en los nudos. En cuanto asomó la cabeza, su cuerpo recibió un rudo apretón de parte del bretón.
―Comandante ―dijo entonces el viejo lobo de mar–, permitid que nos retiremos a la otra habitación: ¿qué queréis que os diga? Ciertas escenas conmueven también los corazones de piedra de los hijos de Armórica.
Y, sin esperar la respuesta, volvió a la habitación seguido por Pequeño “Flocco” y la criada, cerrando la puerta tras de sí.
―No molestemos al Comandante –dijo–. Los jóvenes tienen tantas cosas que contarse, los viejos no debemos escuchar.
―¿Me tomas por viejo, maestro? –preguntó Pequeño “Flocco”.
―Tampoco yo soy vieja –protestó la criada.
―Es verdad. ¿Qué queréis, señora? Estoy tan trastornado en este momento que mis ojos deben ver doble, como los de maestro Taberna. Perdonadme, miss Nelly.
―Nunca me he llamado así, os lo he dicho ya –dijo la criada.
―¿Y cómo os llamáis, entonces?
―Diana.
―Conocía una fragata que se llamaba así y que en el mascarón de proa tenía una hermosa joven con los cabellos revueltos y con un arco en la mano. Pero no se parecía para nada a vos, miss Nelly.
―¡Diana! ¿Queréis que me enfade?
―¿Que si quiero ofenderos, mi dulce señora? –dijo el maestro-. ¡Oh, jamás! Somos rudos marineros, ¿no es así, Pequeño “Flocco”?, pero tenemos el más grande respeto hacia las mujeres. De hecho, podéis comprobar vos misma que las ponemos siempre en el mascarón de nuestros barcos.
―Expuestas sobre todo al oleaje –dijo Pequeño “Flocco”.
―Miss Diana, ¿podemos beber un poquito? Supongo que el marqués de Halifax no os tendrá cortos de vino y cerveza, como dice Hulrik.
La criada sonrió, se acercó a un pequeño mueble de palisandro y sacó dos botellas, tres vasos y un sacacorchos.
―Destapad la botella, señor ―dijo, dirigiéndose al maestro.
Éste cogió las dos botellas, las observó atentamente, después exclamó:
―¡Madroños! ¡Es un Madeira! Una marca famosa. ¿Has estado en esa isla, Pequeño “Flocco”?
―No, nunca.
―Una isla deliciosa, donde las mujeres son encantadoras, los hombres increíblemente celosos y el vino, querido amigo, ¡es extraordinario! Piensa que una vez, para devolverme a bordo, tuvieron que llevarme en un carro. ¿Habéis bebido alguna vez, miss Nelly... quería decir, Diana? Me refiero a darse a la bebida como saben hacerlo los orcos del océano.
―¿Yo? –exclamó la criada–. Nunca, señor. No me he casado ni con un pescador ni con un marinero.
―¡Muy mal, muy mal, miss Diana! Probad este Madeira, y veréis que vuestro corazón prende fuego.
―¿Por quién?
―¿Acaso no soy yo un buen hombre? Por allá arrullan las gaviotas, podemos arrullar nosotros también, mi dulce Diana. ¡Hermoso nombre! Era el de una fragata. ¡Y qué fragata! ¡Qué bonito era el mascarón que tenía en el tajamar! Todos los marineros iban a admirarlo.
―¡Destapa ese famoso Madeira en vez de hablar tanto! –respondió el gaviero―. ¿No te das cuenta de que la dulce miss está esperando?
―Enseguida lo hago –respondió Cabeza de Piedra.
―Bebamos a la salud de nuestra Tronante.
Había cogido una botella y el sacacorchos, cuando vió que la criada se levantaba de repente y corría hacia la puerta que daba a la escalera, cerrándola con doble cerrojo. El bretón se quedó petrificado.
―¡Dios mío! –exclamó en aquel momento la criada, llevándose las manos a la cabeza―. ¡Es el marqués! ¡Conozco su paso!
―¡Maldito vino! –balbuceó el bretón―. ¿Será mi destino que no te pueda volver a beber?
A los pocos instantes se repuso rápidamente.
―He aquí, Pequeño “Flocco”, una buena ocasión para beber en compañía de un igual de Inglaterra.
El joven gaviero quizá no pensaba como el viejo lobo de mar, porque se había escondido detrás de la criada, que entró en la segunda habitación, gritando:
―¡Señora, el marqués! ¡el marqués!
―¡Aquí! ¡A esta hora! –exclamó la miss, palideciendo–. No dejes que entre, Diana.
―De esto se ocuparán mis marineros –dijo el barón-, después de que entre. Ha llegado el momento trágico de dar fin a los odios de familia.
Había desenvainado la espada y la había depositado sobre la mesa. También Cabeza de Piedra, que había conseguido abrir la botella, se había acercado a la puerta, sin rastro de temor.
―Dejadlo entrar; después, impedid que salga a buscar auxilio –dijo rápidamente sir William.
―Ésto es asunto nuestro –respondió el bretón–. Dejad que nos encarguemos nosotros. ¡Ven conmigo, Pequeño “Flocco”!
Volvieron a la salita justo en el momento en que tocaron a la puerta.
Cabeza de Piedra llenó los tres vasos, vació uno a la mitad, se secó el bigote con la mano; después, dio la vuelta a la llave y abrió.
Un hombre de estatura media, palidísimo, con una barba rojiza que le daba un aspecto desagradable, con dos ojos negros e imperiosos, entró. Llevaba un uniforme de coronel escocés y, de lado, llevaba una espada. Al ver al marinero, un gesto de asombro se dibujó en su cara; después preguntó, con voz dura:
―¿Quién sois y qué estáis haciendo aquí?
―Perdonad, señor, os pregunto quién sois – respondió tranquilamente el bretón.
―¿No es suficiente ver cómo estoy vestido?
―No, señor.
―Soy el marqués de Halifax.
―Y yo me llamo Cabeza de Piedra.
―¿Cómo habéis dicho?
―Cabeza de Piedra –respondió el bretón.
―¿Os estáis burlando de mí? –gritó el marqués, que empezaba a perder la paciencia―. ¿Qué estáis haciendo aquí?
―Dios mío, ¿acaso está prohibido en Boston, por el asedio de los americanos, ir a visitar a los parientes que no vemos desde hace quince meses?
―¿En qué embarcación habéis venido?
―En la fragata Collington.
―¿Cuándo ha llegado?
―Ayer por la noche, señor.
―No la he visto.
―Hemos anclado en la parte externa del puerto, así que no es fácil divisarla, ya que hay un brazo de tierra por medio.
―¿Dónde está la criada?
―Con la señora.
―Podéis beber, por esta vez.
―Listos para obedecer, coronel. Los soldados y los marineros siempre tienen sed.
El marqués se volvió de espaldas con desdén y llamó a la segunda puerta, que la camarera había cerrado precipitadamente sólo con la manilla.
―¿Se puede? –preguntó en tono huraño.
―Entrad, señor marqués ―respondió Diana con voz débil. Cabeza de Piedra y Pequeño “Flocco” se habían levantado, desenganchando los sables de abordaje y cargando precipitadamente las pistolas.
El marqués empujó la puerta y entró. Un grito sofocado se escapó de sus labios. Apoyado en una mesita se encontraba sir William, mientras Mary y la criada se habían refugiado detrás de las cortinas de la ventana.
―¡Vos! ¡Vos! –dijo el marqués, apretando los dientes y desenvainando al instante la espada.
―¿Os sorprendéis, hermano? –preguntó el barón con voz irónica y tranquila–. ¿No pensábais volver a verme en una Boston asediada?
El marqués guardó silencio un momento, mirando al bastardo con los ojos inyectados en sangre. Su rostro, pálido como era, tenía un cierto aire espectral.
―¡Vos! –repitió, acercando la espada―. ¿Quién os ha traído hasta aquí? ¿El demonio?
―No. Los vientos de las Bermudas en mi corbeta –respondió el barón. Después añadió, en tono irónico―: ¡Bonito modo de recibir a tu hermano, empuñando la espada!
―Sois el bastardo de mi familia, no mi hermano –respondió el marqués.
Una onda de sangre coloreó el rostro del Corsario.
―¡El bastardo! –dijo después, haciendo un esfuerzo por contenerse.
―Del cual, dentro de veinticuatro horas no se volverá a hablar, porque haré que lo arrestren por ser enemigo de la patria. He sabido que ayudásteis a los americanos, así que haré que os ahorquen.
Se volvió sobre sus talones y empujó con ímpetu la puerta.
Cabeza de Piedra y Pequeño “Flocco” le cerraban el paso.
―¡Alto ahí, mi coronel! –dijo el bretón. La retirada ya no es posible; no os queda más remedio que arriar la bandera y rendiros.
English to Spanish: The Professor, II chapter General field: Art/Literary
Source text - English CHAPTER II.
A FINE October morning succeeded to the foggy evening that had witnessed
my first introduction to Crimsworth Hall. I was early up and walking in
the large park-like meadow surrounding the house. The autumn sun, rising
over the ----shire hills, disclosed a pleasant country; woods brown and
mellow varied the fields from which the harvest had been lately carried;
a river, gliding between the woods, caught on its surface the somewhat
cold gleam of the October sun and sky; at frequent intervals along the
banks of the river, tall, cylindrical chimneys, almost like slender
round towers, indicated the factories which the trees half concealed;
here and there mansions, similar to Crimsworth Hall, occupied agreeable
sites on the hill-side; the country wore, on the whole, a cheerful,
active, fertile look. Steam, trade, machinery had long banished from
it all romance and seclusion. At a distance of five miles, a valley,
opening between the low hills, held in its cups the great town of X----.
A dense, permanent vapour brooded over this locality--there lay Edward's
"Concern."
I forced my eye to scrutinize this prospect, I forced my mind to dwell
on it for a time, and when I found that it communicated no pleasurable
emotion to my heart--that it stirred in me none of the hopes a man ought
to feel, when he sees laid before him the scene of his life's career--I
said to myself, "William, you are a rebel against circumstances; you are
a fool, and know not what you want; you have chosen trade and you shall
be a tradesman. Look!" I continued mentally--"Look at the sooty smoke in
that hollow, and know that there is your post! There you cannot dream,
you cannot speculate and theorize--there you shall out and work!"
Thus self-schooled, I returned to the house. My brother was in the
breakfast-room. I met him collectedly--I could not meet him cheerfully;
he was standing on the rug, his back to the fire--how much did I read in
the expression of his eye as my glance encountered his, when I advanced
to bid him good morning; how much that was contradictory to my nature!
He said "Good morning" abruptly and nodded, and then he snatched, rather
than took, a newspaper from the table, and began to read it with the air
of a master who seizes a pretext to escape the bore of conversing with
an underling. It was well I had taken a resolution to endure for a time,
or his manner would have gone far to render insupportable the disgust
I had just been endeavouring to subdue. I looked at him: I measured his
robust frame and powerful proportions; I saw my own reflection in the
mirror over the mantel-piece; I amused myself with comparing the two
pictures. In face I resembled him, though I was not so handsome; my
features were less regular; I had a darker eye, and a broader brow--in
form I was greatly inferior--thinner, slighter, not so tall. As an
animal, Edward excelled me far; should he prove as paramount in mind
as in person I must be a slave--for I must expect from him no lion-like
generosity to one weaker than himself; his cold, avaricious eye, his
stern, forbidding manner told me he would not spare. Had I then force of
mind to cope with him? I did not know; I had never been tried.
Mrs. Crimsworth's entrance diverted my thoughts for a moment. She looked
well, dressed in white, her face and her attire shining in morning
and bridal freshness. I addressed her with the degree of ease her last
night's careless gaiety seemed to warrant, but she replied with coolness
and restraint: her husband had tutored her; she was not to be too
familiar with his clerk.
As soon as breakfast was over Mr. Crimsworth intimated to me that they
were bringing the gig round to the door, and that in five minutes he
should expect me to be ready to go down with him to X----. I did not
keep him waiting; we were soon dashing at a rapid rate along the
road. The horse he drove was the same vicious animal about which Mrs.
Crimsworth had expressed her fears the night before. Once or twice
Jack seemed disposed to turn restive, but a vigorous and determined
application of the whip from the ruthless hand of his master soon
compelled him to submission, and Edward's dilated nostril expressed his
triumph in the result of the contest; he scarcely spoke to me during the
whole of the brief drive, only opening his lips at intervals to damn his
horse.
X---- was all stir and bustle when we entered it; we left the clean
streets where there were dwelling-houses and shops, churches, and public
buildings; we left all these, and turned down to a region of mills and
warehouses; thence we passed through two massive gates into a great
paved yard, and we were in Bigben Close, and the mill was before us,
vomiting soot from its long chimney, and quivering through its thick
brick walls with the commotion of its iron bowels. Workpeople were
passing to and fro; a waggon was being laden with pieces. Mr. Crimsworth
looked from side to side, and seemed at one glance to comprehend all
that was going on; he alighted, and leaving his horse and gig to the
care of a man who hastened to take the reins from his hand, he bid me
follow him to the counting-house. We entered it; a very different place
from the parlours of Crimsworth Hall--a place for business, with a bare,
planked floor, a safe, two high desks and stools, and some chairs. A
person was seated at one of the desks, who took off his square cap when
Mr. Crimsworth entered, and in an instant was again absorbed in his
occupation of writing or calculating--I know not which.
Mr. Crimsworth, having removed his mackintosh, sat down by the fire. I
remained standing near the hearth; he said presently--
"Steighton, you may leave the room; I have some business to transact
with this gentleman. Come back when you hear the bell."
The individual at the desk rose and departed, closing the door as he
went out. Mr. Crimsworth stirred the fire, then folded his arms, and sat
a moment thinking, his lips compressed, his brow knit. I had nothing to
do but to watch him--how well his features were cut! what a handsome man
he was! Whence, then, came that air of contraction--that narrow and hard
aspect on his forehead, in all his lineaments?
Turning to me he began abruptly:
"You are come down to ----shire to learn to be a tradesman?"
"Yes, I am."
"Have you made up your mind on the point? Let me know that at once."
"Yes."
"Well, I am not bound to help you, but I have a place here vacant, if
you are qualified for it. I will take you on trial. What can you do? Do
you know anything besides that useless trash of college learning--Greek,
Latin, and so forth?"
"I have studied mathematics."
"Stuff! I dare say you have."
"I can read and write French and German."
"Hum!" He reflected a moment, then opening a drawer in a desk near him
took out a letter, and gave it to me.
"Can you read that?" he asked.
It was a German commercial letter; I translated it; I could not tell
whether he was gratified or not--his countenance remained fixed.
"It is well;" he-said, after a pause, "that you are acquainted with
something useful, something that may enable you to earn your board and
lodging: since you know French and German, I will take you as second
clerk to manage the foreign correspondence of the house. I shall give
you a good salary--90l. a year--and now," he continued, raising his
voice, "hear once for all what I have to say about our relationship, and
all that sort of humbug! I must have no nonsense on that point; it
would never suit me. I shall excuse you nothing on the plea of being my
brother; if I find you stupid, negligent, dissipated, idle, or possessed
of any faults detrimental to the interests of the house, I shall dismiss
you as I would any other clerk. Ninety pounds a year are good wages,
and I expect to have the full value of my money out of you;
remember, too, that things are on a practical footing in my
establishment--business-like habits, feelings, and ideas, suit me best.
Do you understand?"
"Partly," I replied. "I suppose you mean that I am to do my work for my
wages; not to expect favour from you, and not to depend on you for any
help but what I earn; that suits me exactly, and on these terms I will
consent to be your clerk."
I turned on my heel, and walked to the window; this time I did not
consult his face to learn his opinion: what it was I do not know, nor
did I then care. After a silence of some minutes he recommenced:--
"You perhaps expect to be accommodated with apartments at Crimsworth
Hall, and to go and come with me in the gig. I wish you, however, to be
aware that such an arrangement would be quite inconvenient to me. I
like to have the seat in my gig at liberty for any gentleman whom for
business reasons I may wish to take down to the hall for a night or so.
You will seek out lodgings in X----."
Quitting the window, I walked back to the hearth.
"Of course I shall seek out lodgings in X----," I answered. "It would
not suit me either to lodge at Crimsworth Hall."
My tone was quiet. I always speak quietly. Yet Mr. Crimsworth's blue eye
became incensed; he took his revenge rather oddly. Turning to me he said
bluntly--
"You are poor enough, I suppose; how do you expect to live till your
quarter's salary becomes due?"
"I shall get on," said I.
"How do you expect to live?" he repeated in a louder voice.
"As I can, Mr. Crimsworth."
"Get into debt at your peril! that's all," he answered. "For aught I
know you may have extravagant aristocratic habits: if you have, drop
them; I tolerate nothing of the sort here, and I will never give you a
shilling extra, whatever liabilities you may incur--mind that."
"Yes, Mr. Crimsworth, you will find I have a good memory."
I said no more. I did not think the time was come for much parley. I
had an instinctive feeling that it would be folly to let one's temper
effervesce often with such a man as Edward. I said to myself, "I will
place my cup under this continual dropping; it shall stand there still
and steady; when full, it will run over of itself--meantime patience.
Two things are certain. I am capable of performing the work Mr.
Crimsworth has set me; I can earn my wages conscientiously, and those
wages are sufficient to enable me to live. As to the fact of my brother
assuming towards me the bearing of a proud, harsh master, the fault is
his, not mine; and shall his injustice, his bad feeling, turn me at once
aside from the path I have chosen? No; at least, ere I deviate, I will
advance far enough to see whither my career tends. As yet I am only
pressing in at the entrance--a strait gate enough; it ought to have a
good terminus." While I thus reasoned, Mr. Crimsworth rang a bell; his
first clerk, the individual dismissed previously to our conference,
re-entered.
"Mr. Steighton," said he, "show Mr. William the letters from Voss,
Brothers, and give him English copies of the answers; he will translate
them."
Mr. Steighton, a man of about thirty-five, with a face at once sly and
heavy, hastened to execute this order; he laid the letters on the
desk, and I was soon seated at it, and engaged in rendering the English
answers into German. A sentiment of keen pleasure accompanied this first
effort to earn my own living--a sentiment neither poisoned nor weakened
by the presence of the taskmaster, who stood and watched me for some
time as I wrote. I thought he was trying to read my character, but I
felt as secure against his scrutiny as if I had had on a casque with
the visor down-or rather I showed him my countenance with the confidence
that one would show an unlearned man a letter written in Greek; he might
see lines, and trace characters, but he could make nothing of them; my
nature was not his nature, and its signs were to him like the words of
an unknown tongue. Ere long he turned away abruptly, as if baffled, and
left the counting-house; he returned to it but twice in the course of
that day; each time he mixed and swallowed a glass of brandy-and-water,
the materials for making which he extracted from a cupboard on one side
of the fireplace; having glanced at my translations--he could read both
French and German--he went out again in silence.
Translation - Spanish Capítulo II
Amaneció una magnífica mañana de octubre, después de la tarde neblinosa que había sido testigo de mi llegada a Crimsford Hall. Me levanté temprano y fui a dar un paseo por el inmenso jardín, grande como un parque, que rodeaba la casa. El sol del otoño, que se elevaba sobre las colinas del condado de N., mostraba con su luz un campo apacible; bosques marrones y tenues daban una nota de color al labrantío, cosechado tardíamente; un río, que se deslizaba a través de los bosques, capturaba en su superficie el frío reflejo del sol y del cielo de octubre; a intervalos frecuentes a lo largo de la ribera unas chimeneas altas y circulares, que parecían esbeltas torres redondas, indicaban la presencia de las fábricas que los árboles semiocultaban; aquí y allá despuntaban unas mansiones, similares a Crimsworth Hall, que ocupaban unas hermosas fincas del lado de la colina; el paisaje presentaba, en general, un aspecto alegre, activo y fértil. El humo, la actividad comercial y la maquinaria de las fábricas habían arrancado de él, hacía ya bastante tiempo, todo rastro de romanticismo y aislamiento. A distancia de unas cinco millas, un valle se abría a través de unas bajas colinas, albergando en su cuenca la gran ciudad de N. Un vapor denso y permanente se cernía sobre esta localidad. Allí residía el «Negocio» de Edward.
Durante unos momentos me obligué a mí mismo a contemplar mentalmente la posibilidad de vivir allí, y cuando me percaté de que la idea no producía en mí ninguna sensación agradable –es decir, que no despertaba ninguna de las esperanzas que se supone que un hombre, cuando proyecta la trayectoria de su carrera, debería sentir―, me dije a mí mismo: «William, eres un rebelde contra las circunstancias; eres un tonto, y no sabes lo que quieres; has elegido el comercio y un comerciante serás. ¡Mira!» ―seguí reflexionando― «¡Mira cuánto hollín hay en ese agujero, y hazte a la idea de que allí está tu puesto! Allí no podrás soñar, especular ni teorizar. ¡Allí sólo trabajarás!».
Así, aleccionándome a mí mismo, volví hacia la casa. Mi hermano se encontraba en la salita del desayuno. Le saludé con parsimonia –no podía saludarlo con alegría. Estaba de pie en la alfombra, de espaldas al fuego ―¡cuántas cosas leí en la expresión de sus ojos, cuando mi mirada encontró la suya, cuando me acerqué a desearle los buenos días! ¡Cuántas cosas en contradicción con mi naturaleza! Dijo bruscamente «buenos días», acompañando el saludo con un leve movimento de cabeza; a continuación cogió bruscamente el periódico de encima de la mesa, y empezó a leerlo con el aire de un maestro que aprovecha cualquier pretexto para evitar la aburrida conversación con un subordinado. Había acertado proponiéndome aguantar su comportamiento por algún tiempo, pues de haber obrado de otra manera, el disgusto que estaba intentando dominar por todos los medios habría terminado por hacérseme insoportable. Lo miré: comprobé la robustez de su figura y sus poderosas dimensiones; vi mi propio reflejo en el espejo que estaba sobre el mantel. Me divertí comparando los dos retratos. Mi rostro asemejaba al suyo, aunque yo no era tan agraciado; mis lineamentos eran menos regulares; mis ojos eran más oscuros y mis cejas más espesas –en cuanto al físico, yo era claramente inferior: más delgado, más débil, y no tan alto. En cuanto animal, Edward me excedía con creces; si fuera un portento no sólo en el físico, sino también como persona, yo tendría que contentarme con considerarme un esclavo. Dado que soy más débil que él, no cabe esperar de su parte ninguna muestra de generosidad, al igual que un león no lo haría. Su mirada fría y avara, su actitud severa y amenazadora me hicieron pensar que no me perdonaría. ¿Tendría yo la fuerza mental de hacerle frente? No lo sabía; nunca me habían puesto a prueba.
La llegada de la señora Crimsworth desvió por un momento mis pensamientos. Tenía muy buen aspecto, vestida de blanco, con un rostro y un vestido que brillaban con un frescor matutino y nupcial. La saludé con la desenvoltura que su alegría despreocupada de la noche anterior parecían pretender, pero me respondió en modo frío y distante: su marido la había instruido; no debía excederse en familiaridades con su empleado.
En cuanto terminamos de desayunar, Mr. Crimsworth me comunicó que iban a traer el calesín hasta la puerta, y que dentro de cinco minutos quería que yo estuviera listo para acompañarlo a N. No le hice esperar; pronto nos encontramos corriendo a gran velocidad por la carretera. El caballo que conducìa era el mismo animal viciado sobre el cual la señora Crimsworth había expresado sus temores la noche anterior. Una o dos veces me pareció que Jack estuviera inquieto, pero la mano implacable de su padrón, fustigándolo con vigor y determinación, lo sometiò ràpidamente, y las narices dilatadas de Edward manifestaron su satisfacciòn por el triunfo en la contienda; casi no me habló durante el breve trayecto; las pocas veces que abría la boca era sólo para maldecir a su caballo.
La ciudad de N. nos recibiò con un gran revuelo y conmoción. Dejamos las limpias calles donde se hallaban las casas y las tiendas, las iglesias y los edificios públicos; dejamos todo esto atrás, y nos adentramos en una región donde abundaban molinos y almacenes; desde allì atravesamos dos portones macizos que conducìan a un gran patio pavimentado, llegamos a Bigben Close y nos encontramos delante del molino; vomitaba hollín por su larga chimenea y sus gruesos muros de ladrillo temblaban por el movimiento de sus entrañas de hierro. Había obreros en movimiento por todas partes; estaban cargando unos materiales en un vagón. El señor Crimsworth observó todo con atención; se dirìa que con una mirada hubiera comprendido todo lo que estaba sucediendo; se apeó, y mientras dejaba el caballo y la carroza al cuidado de un mozo que se apresuró a cogerle las riendas de la mano, me indicó que lo siguiera hacia la oficina de contabilidad. Entramos. Era muy distinto de los salones de Crimsworth Hall: un lugar de negocios, con un suelo entablado desnudo, una caja fuerte, dos escritorios altos, taburetes, y algunas sillas. Una persona estaba sentada en uno de los escritorios; cuando el señor Crimsworth entró se quitó su sombrero cuadrado y un instante después estaba de nuevo enfrascado en su trabajo, escribiendo o haciendo cuentas – no sabría decir cuál de las dos.
El señor Crimsworth, se quitó los guantes y se sentó junto al fuego. Yo permanecí de pie cerca del hogar. Dijo de repente:
―Seighton, déjenos un momento a solas; tengo un asunto que tratar con este caballero. Vuelva cuando oiga el timbre.
El individuo del escritorio se levantó y salió, cerrando la puerta tras de sí. El señor Crimsworth removió el fuego, después se cruzó de brazos y se sentó un momento, pensativo, con los labios apretados y el ceño fruncido. No me quedaba otra cosa que hacer que no fuera mirarle –¡Qué bien definidos eran sus lineamentos! ¡Qué caballero tan elegante era! ¿De dónde, entonces, venía aquél aire contraìdo, ese aspecto rígido y endurecido de su frente y de todos sus lineamentos?
Volviéndose hacia mí, me dijo abruptamente:
―¿Has venido al condado de N. para aprender el oficio de comerciante?
―En efecto.
―¿Estàs decidido a ello? Responde inmediatamente.
―Sí.
―Bien, no estoy obligado a ayudarte, pero tengo un puesto vacante, si estás cualificado para ocuparlo. Te tomaré por un período de prueba. ¿Qué sabes hacer? ¿Sabes algo, a parte de toda esa basura de enseñanza de la universidad (griego, latín y demás)?
―He estudiado matemáticas.
―¡Pamplinas! Ya lo creo que lo has hecho.
―Sé leer y escribir francés y alemán.
―¡Ah! Reflexionó un momento; después, abriendo un cajón del escritorio cercano a él sacó una carta, y me la dio.
―¿Sabes leer esto? –me preguntó.
Era una carta comercial escrita en alemán. Se la traduje. No sabría decir si estaba satisfecho o no –su rostro permaneció impasible.
―Es bueno –dijo, después de una pausa― que sepas hacer algo útil, algo que te permita ganarte el sueldo y pagar el alquiler. Dado que sabes francés y alemán, te cojo como segundo secretario para administrar la correspondencia extranjera de la casa. Te daré un buen sueldo... 90 libras, y ahora ―continuó, levantando la voz― ¡escucha de una vez por todas lo que voy a decirte sobre nuestra relación, y todos esos disparates! No puedo ser transigente en este punto, no va conmigo. No te perdonaré nada por el hecho de que seas mi hermano; si encuentro que eres tonto, negligente, disoluto, holgazán, o que posees algún vicio que vaya en detrimento de los intereses de la casa, te echaré como lo haría con cualquier otro secretario. Noventa libras al año es una buena paga, y espero recibir de tu parte todo lo que he invertido. Recuerda, además, que cualquier asunto que se trate en mi establecimiento está en un plano práctico ―ya se trate de negocios como de costumbres, sentimientos o ideas― como a mí me conviene. ¿Entiendes?
―En parte –repliqué–. Supongo que quieres decir que debo dedicarme a mi trabajo por el salario, y que no debo esperar de tu parte ningún trato de favor, ni depender de ti para nada que no sea el sueldo. Me parece perfectamente bien, y en estos términos consiento en ser tu secretario.
Me volví sobre mis talones y caminé hacia la ventana; esta vez no consulté su rostro para saber su opinión: ignoraba cuál fuese, pero en aquel momento no me importaba. Después de un silencio que durò algunos minutos, recomenzó:
―Quizá esperas poder hospedarte en Crimsworth Hall e ir y venir conmigo en el carruaje. Me gustaría, sin embargo, que fueras consciente de que esto serìa un grave inconveniente para mì. Me gusta disponer con libertad de ese sitio, para cualquier caballero que, por razones de negocios, quiera acompañar a casa por la noche, etc. Buscarás alojamiento en N.
Abandonando la ventana, me acerqué al hogar.
―Por supuesto que buscaré un alojamiento en N ―respondí―. Tampoco a mí me agradaría alojarme en Crimsworth Hall.
El tono de mi voz era tranquilo. Cuando hablaba no perdía nunca la calma. Sin embargo, los ojos azules del señor Crimsworth se indignaron; se vengó de forma extraña. Volviéndose hacia mí, me dijo secamente:
―Supongo que eres bastante pobre. ¿Cómo piensas vivir hasta que tus ahorros sean suficientes?
―Me las arreglaré ―dije yo.
―¿Cómo piensas vivir? ―repitió, alzando la voz.
―Como pueda, señor Crimsworth.
―¡Allá tú si quieres endeudarte, es tu responsabilidad! Esto es todo ―respondió él―. Que yo sepa, puede ser que tengas hábitos aristocráticos extravagantes: si los tienes, abandónalos; no tolero nada de ese tipo aquí, y no te daré ni un céntimo extra, por más que te metas en líos. Tenlo en cuenta.
―Sí, señor Crimsworth, verá que tengo buena memoria.
No dije nada más. Me percaté de que no había llegado el momento de las charlas. Tenía el presentimiento de que habría sido una imprudencia dejarse llevar por la efervescencia de mi carácter con un hombre como Edward. Mi dije a mí mismo: «pondré una taza debajo de este continuo goteo; se quedará allí, quieta y tranquila; cuando se llene, pasará lo que tenga que pasar... Mientras tanto, paciencia. Dos cosas eran seguras. Era capaz de llevar a cabo el trabajo que el señor Crimsworth me había asignado; podía ganarme el sueldo a conciencia, y ese salario era suficiente para vivir. En cuanto a mi hermano haciendo las veces de un jefe áspero y orgulloso, era asunto suyo, no mío; ¿Iba esta injusticia a apartarme del camino que había elegido? No. Por lo menos, antes de desviarme, avanzaré lo suficiente para ver hacia dónde tiende mi carrera. Ahora me encuentro tan sólo en el umbral, ―un umbral suficientemente estrecho― tiene que tener un buen términe». Mientras así razonaba, el señor Crimsworth tocó el timbre; su primer secretario, el individuo que había sido previamente expulsado de nuestra conversación, volvió a entrar.
―Señor Steighton ―dijo―, muestre al señor William las cartas de Voss y Brothers y déle las copias de las respuestas en inglés; las traducirá.
El señor Steighton, un hombre de unos treinta y cinco años, de semblante tosco y malicioso al mismo tiempo, ejecutó inmediatamente la orden; depositó las cartas encima del escritorio y pronto me encontré sentado delante de él, enfrascado en traducir las respuestas inglesas al alemán. Un vivo sentimiento de placer acompañaba a este primer esfuerzo por ganarme el sueldo... un sentimiento que no se envenenó ni se debilitó por la presencia del patrón, que permaneció de pie durante un rato, observándome mientras yo escribía. Me pareciò que estaba intentando estudiar mi carácter, pero pesar de su mirada escrutadora, yo me sentía seguro, como si tuviera un casco con la visera bajada. Le mostraba mi rostro con la seguridad de quien enseña a un hombre no instruido una carta escrita en griego: podía, ciertamente, ver las lìneas y trazar carácteres, pero no podìa hacer nada màs con esto; mi naturaleza no era como la suya, y mis signos eran para él como las palabras de una lengua desconocida. Después de un buen rato se alejó bruscamente, como confundido, y abandonó la oficina de contabilidad; durante el resto del día volvió sólo dos veces. Cada vez que venía se tomaba un vaso de brandy con agua, que preparaba extrayendo sendos líquidos de un armario que habìa a uno de los lados de la chimenea. Después de dar un vistazo a mis traducciones ―podía leer tanto francés como alemán― salió otra vez en silencio.
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